La condizione delle donne in Medio Oriente è un tema spinoso e delicato, in luoghi come l’Iran e l’Afghanistan sono praticamente invisibili. Le proteste da parte della popolazione per ottenere diritti e vivere in una società fondata sull’eguaglianza in Paesi come questi spesso vengono soffocate – anche nel sangue – dalle autorità e dai regimi dittatoriali.
Il colpo di stato del 2021 che ha portato i talebani al potere non ha fatto altro che peggiorare una situazione che già era sull’orlo del baratro, cancellando quelle poche labili leggi a tutela delle donne. Per approfondire la questione, Tag24 ha intervistato Luca Lo Presti, il Presidente della Fondazione Pangea Onlus, un’associazione che da anni lavora per l’empowerment femminile, per i diritti delle donne, affinché abbiano la possibilità di emanciparsi e di autodeterminarsi, partendo dall’istruzione per finire con l’ingresso nel mondo del lavoro.
Le donne in Afghanistan oggi, dopo il colpo di stato dei talebani, sono diventate invisibili
Dal 2021 l’instaurazione del regime dei talebani ha estirpato gli esigui diritti che avevano le donne. Il Presidente di Pangea ha raccontato a Tag24 qual è la situazione attuale in Afghanistan: un paese dove le donne non sono libere nemmeno di uscire di casa senza un uomo, dove il diritto allo studio non esiste più.
D: In che condizioni vivono le donne in Afghanistan da quando i talebani hanno preso il potere?
R: L’Afghanistan è un paese che non rispetta le donne. E’ un paese che, anche prima dell’avvento dei talebani, non ha mai sviluppato una sensibilità verso il rispetto per le donne, per non parlare dei diritti. Pangea lavora in Afghanistan da vent’anni e in questo tempo abbiamo portato enormi vantaggi alla popolazione femminile soprattutto nella capitale, a Kabul. Non si è mai propriamente sviluppata la questione dell’emancipazione delle donne.
L’arrivo dei talebani non ha fatto altro che togliere le poche cautele previste dalla legge, in particolare per quanto riguarda il diritto allo studio delle donne, la possibilità di uscire di casa e di andare a lavorare. Nel centro della capitale ricordo la presenza di donne all’interno dei ristoranti la sera. Questo perché parliamo di Kabul. Nelle zone periferiche si sono sempre viste donne col burqa, mai davvero emancipate. Certo, almeno alle bambine era permesso ancora di andare a scuola, le ragazze ancora potevano frequentare l’università.
Lo Presti: “Nessuna legge tutela le donne in Afghanistan . Non possono fare niente senza un uomo”
“Passi avanti nell’emancipazione erano avvenuti in particolare ad Herat, una città che è sempre stata vista come il faro della civiltà afghana, dove si erano sviluppati centri culturali, gallerie d’arte, movimenti giovanili. Il resto dell’Afghanistan è da considerare come una realtà isolata, fatta di deserti e montagne, dove Pangea lavora in sette province. Sulle montagne la situazione per le donne è immutata, a prescindere dalla presenza dei talebani. Le donne sono totalmente invisibili. Io sono rimasto circa dieci giorni tra i monti dove lavoriamo e non ho mai visto una donna. E’ agghiacciante perché ad un certo punto la mente si abitua a questo, e non vedere donne camminare in giro per strada sembra quasi normale.
Oggi non c’è nessuna legge a tutela delle donne che permetta loro di studiare, lavorare e addirittura che consenta loro di uscire di casa senza un uomo. Senza queste norme è stata tolta alle donne la possibilità di sognare perché nessuna legge oggi le riconosce come “vive”. E’ una condizione di impossibilità all’esistenza. Cosa accadrebbe se in Italia si eliminassero tutte le leggi che tutelano le donne, considerati anche i fatti di violenza e i femminicidi che accadono qui? Secondo me, se anche nel nostro paese queste leggi fossero cancellate, la mentalità patriarcale che vive in ogni uomo ci farebbe ritrovare nella medesima situazione che c’è in Afghanistan.
L’Afghanistan deve restare un grande monito per il mondo intero rispetto a quanto sia facile perdere i diritti acquisiti e a quanto – in mancanza di tali tutele – l’uomo riesca ad essere brutale. Con la nostra associazione, che da anni lavora in tante parti del mondo per aiutare l’empowerment femminile, guardiamo sempre all’Afghanistan come la realtà peggiore che possa accadere. E’ terribile”.
Le donne non possono studiare, anche le bambine non possono andare a scuola
D: Dopo l’instaurazione del regime dei talebani le donne hanno visto distruggere il loro diritto allo studio, la situazione oggi è ancora così?
R: La questione è peggiorata, senza dubbio. Fino a giugno dello scorso anno almeno le bambine potevano andare a scuola, adesso è vietato anche per loro. E’ una situazione drammatica perché se non si fa qualcosa, continuando a proibire alle donne di ricevere un’istruzione, ci saranno intere generazioni che non avranno studiato. Il rischio è altissimo. Parliamo di un enorme vuoto generazionale per la cultura.
Se manca l’istruzione di conseguenza le donne non potranno essere pronte al mondo del lavoro ed economicamente indipendenti. Si mina al diritto di autodeterminazione. Un uomo per capire questa realtà deve usare l’immaginazione, mentre per una donna è diverso, lo vive sulla propria pelle. Non saprò mai come si sente una donna che va in giro per strada, un uomo non potrà mai capirlo. Gli sguardi, i giudizi, la molestia. Dentro ogni maschio c’è un talebano, esiste un talebano, perché siamo cresciuti come talebani.
Poi esistono le leggi che ci vietano e impongono di compiere certi gesti. Se non ci fossero le norme a tutelare le donne, tutti i loro diritti sarebbero violati. Dentro ogni uomo c’è questa sensazione di dover possedere una donna. Un talebano esiste anche dentro un milanese. Noi guardiamo alla situazione delle donne in Afghanistan come ad un qualcosa di lontano, invece dobbiamo capire che se saltano le leggi, si verificherebbe lo stesso anche qui in Italia.
I media non parlano più dell’Afghanistan anche se i terremoti hanno devastato la popolazione: 4 mila morti, quasi tutte donne
D: Perché i media non parlano più della questione in Afghanistan secondo lei? L’attenzione è tutta su Gaza e Israele, prima c’era la rivolta in Iran per la morte di Mahsa Amini. Perché l’Afghanistan non è più al centro delle notizie?
R: La prima risposta che mi viene in mente è abbastanza ovvia: perché le notizie corrono veloci. L’altro aspetto è che l’Afghanistan è stato vergognosamente dimenticato da parte dell’Occidente: noi non ci siamo ritirati da quelle zone, abbiamo ritrattato quelle che erano le condizioni messe sul piatto, contrattando con i talebani. E’ stato deciso un ritiro frettoloso delle risorse da quelle zone per l’insorgere dei nuovi conflitti, come quello tra Russia e Ucraina. E’ stata una vergogna.
Nel 2001 tutti ricordiamo le parole di Bush e di sua moglie: bisognava fare la guerra in Afghanistan per portare i diritti alle donne. Riconsegnare il paese ai talebani è stato peggio del Vietnam. Si è trattato di una ritirata studiata a tavolino che ha portato una vergogna pazzesca su tutto il mondo occidentale. Oggi non possiamo permetterci di avere un nuovo fronte di guerra visibile perché siamo impegnati già su tanti altri, sia dal punto di vista militare che quello economico.
L’Afghanistan nel presente è una terra di conquista, sembra come la Berlino del dopoguerra. Lì ci sono i servizi segreti, i terroristi: sta diventando un territorio molto pericoloso. Per questo renderne troppo note le vicende causerebbe un nuovo polverone, che è meglio tenere nascosto sotto il tappeto, quindi l’attenzione globale non viene portata lì. Tirare fuori quella storia potrebbe risvegliare forse troppe coscienze. Nel mentre il governo continua a fare quello che vuole e i talebani agiscono così indisturbati. I talebani sono lo specchio del genere maschile.
Nel terremoto sono morte quasi tutte donne perché non possono uscire di casa
D: I terremoti che hanno colpito di recente l’Afghanistan hanno contribuito ad un peggioramento generale delle condizioni di vita della popolazione?
R: Ci sono state delle scosse fortissime in questi giorni e non se ne è parlato. Il bilancio delle vittime è di 4 mila morti in Afghanistan a causa del terremoto, quasi tutte erano donne, per il semplice motivo che erano costrette a rimanere a casa. Le abitazioni sono crollate e le donne sono morte. Pangea sta aprendo un piccolo campo profughi, anche se noi tipicamente ci occupiamo di sviluppo e di empowerment femminile.
Di solito non trattiamo l’emergenza, ma in quell’area conosciamo tante persone, tante famiglie, quindi non potevamo rimanere a guardare. Abbiamo messo su un campo in cui portiamo elettricità, medicine e i servizi essenziali. Sarà un campo speciale perché qui accogliamo soprattutto donne che sono rimaste senza marito, senza uomini dunque altamente a rischio: perché laddove si crea una situazione di emergenza, sono sempre le donne le persone maggiormente in pericolo.
Nel 2001 ad esempio ricordo che lavorai per il disastro dello tzunami: anche lì aumentò in modo esponenziale il fenomeno della violenza di genere. Quando si verificano queste situazioni di disastro e di emergenza la gente non rispetta le regole e se saltano i dettami della società le persone più a rischio di molestie e stupri sono sempre le donne. Lo stupro diventa un’arma di guerra da parte degli uomini. Nel nostro campo sarà prestata massima tutela.
Pangea aiuta anche le donne in Italia: come funziona lo sportello antiviolenza
D: Pangea ha uno sportello antiviolenza, in che modo fornisce assiste le persone che fanno richiesta di aiuto?
R: Lo sportello di Pangea è attivo in Italia e ha una rete composta da 36 centri antiviolenza che coprono il territorio nazionale. Siamo titolari inoltre di case rifugio e sportelli antiviolenza a Roma. Lo sportello antiviolenza online o telefonico si trova sul portale del nostro sito. E’ uno strumento bellissimo perché le donne possono utilizzarlo prima di tutto in modo veloce, entrando subito in contatto con operatrici altamente qualificate in grado di sviluppare un’empatia particolare.
La donna in questo caso si sente accolta da persone amiche, che ascoltano mettendo a disposizione non solo la professionalità ma anche l’umanità e questa è una delle caratteristiche che contraddistingue il lavoro di Pangea. Il problema delle donne che subiscono maltrattamenti o molestie è che non sempre sono in grado di riconoscere la violenza.
Il secondo problema fondamentale è agire, occorre che qualcuno le aiuti, considerando le difficoltà che spesso si hanno in certe località in Italia, come per esempio i piccoli paesi, dove magari le donne si vergognerebbero ad andare presso un centro per colpa del retaggio culturale e dei pregiudizi. La barriera della vergogna è enorme. Avere un numero di telefono o la possibilità di consultare un sito online facilita sicuramente l’approccio, perché si può fare in segreto volendo.
Per approfondire la condizione della donna in Medio Oriente – con un focus sull’Iran – Tag24 ha intervistato la Presidente della Associazione Donne Democratiche Iraniane.