La situazione politica e sociale in Iran è in costante fermento, il popolo continua a lottare per resistere alla tirannia del regime al potere. La combinazione di un governo teocratico e una dittatura politica – incarnati dalle personalità di Ali Khamenei (la Guida Suprema dell’Iran) e il Presidente Ebrahim Raisi – rendono la Repubblica presidenziale islamica dell’Iran una terra dove le donne, e non solo loro, non hanno diritti.

In questo contesto si inseriscono le rivolte del popolo, soprattutto in seguito alla morte della giovane Mahsa Amini, uccisa dalla polizia della morale, scatenando un generale risveglio delle coscienze, anche a livello internazionale. Il movimento della Resistenza Iraniana combatte da tempo contro la dittatura, con l’intento di “portare nel mondo la verità contro gli inganni del regime iraniano”, come ha raccontato a Tag24, Sholeh Shahrzad, la Presidente dell’Associazione Donne Democratiche Iraniane.

L’associazione si batte per far sentire al mondo la voce del popolo iraniano, il cui obiettivo è rovesciare il regime e creare una repubblica laica, democratica e popolare.

La condizione delle donne in Iran prima e dopo il caso Mahsa Amini

Per parlare della condizione della donna in Iran, un paese in cui la popolazione femminile non ha diritti ed è assoggettata alla legge del terrore per volontà di un regime dittatoriale che punta ad azzerane l’indipendenza e la libertà, servendosi di strumenti realizzati ad hoc, come la polizia della morale, Tag24 ha intervistato Shahrzad Sholeh, la Presidente dell’Associazione Donne Democratiche Iraniane in Italia.

La situazione sta cambiando, soprattutto in seguito alle rivolte avvenute dopo la morte di Mahsa Amini, la giovane donna deceduta per mano della polizia, che con la sua storia ha ispirato movimenti di proteste nel paese e in tutto il resto del mondo. La vicenda di Mahsa ha generato un gran clamore a livello internazionale, riuscendo a scuotere dall’interno le fondamenta del regime iraniano.

D: Sulla condizione della donna in Iran si è detto tanto, soprattutto nell’ultimo periodo. Si può parlare di “un prima e dopo Mahsa Amini”? La morte di questa giovane donna quanto ha segnato l’Iran e cosa ha rappresentato?

R: La rivolta per quello che è successo a Mahsa Amini va avanti da oltre un anno, non si è mai fermata, nonostante la “contro” pubblicità del regime iraniano. E’ una rivoluzione che non riguarda solo le donne, ma sono loro sicuramente ad essere state più condizionate e represse dal regime iraniano. Si sono schierate in prima fila nella lotta e molti uomini le hanno sostenute.

D: Si è parlato di tanti uomini che si sono schierati insieme alle donne nella rivolta nata dalla morte di Mahsa. E’ stato un elemento di sorpresa per le donne iraniane? Vi aspettavate di ricevere questo appoggio?

R: In Iran non è stata una sorpresa perché la repressione del regime non riguarda solo la popolazione femminile. Sicuramente esso opera sulla vita delle donne nascondendosi dietro le convinzioni legate alla religione, rendendo l’oppressione più visibile. Il sistema riesce a controllare in realtà tutta la società. Fino a prima della rivolta per Mahsa, erano gli uomini principalmente a protestare contro il regime, ma dopo quello che è successo a lei le donne hanno preso il coraggio di ribellarsi, perché l’oppressione a cui sono state soggette era troppo forte, troppo pressante.

Dopo quest’anno si sono visti i segnali degli effetti delle rivolte, specialmente nelle donne: non hanno paura, non temono più il regime. Fino ad un anno fa nessuna osava uscire in strada senza il velo, adesso invece si vedono tante donne, soprattutto le ragazze. Ho sentito di giovani donne che girano in strada senza velo e che magari si sono imbattute in qualcuno che voleva infastidirle: ora si mostrano forti e coraggiose, e tenendo testa agli aggressori, questi desistono dal compiere violenze perché rimangono spiazzati, non sono abituati a vedere queste reazioni. E’ una testimonianza delle ribellioni quotidiane che avvengono in Iran.

“Il popolo iraniano sta facendo la sua parte, ma deve agire anche la comunità internazionale”

D: La morte di Mahsa Amini e le rivolte che ne sono conseguite hanno catturato l’attenzione della stampa internazionale e del mondo politico, avete sentito questa vicinanza?

R: Sulla questione siamo molto delusi, perché durante quest’anno – un anno di rivolta per il popolo iraniano – per la prima volta si è riuscito a far vedere il coraggio delle donne che combattono contro un feroce regime dittatoriale. Tutto il mondo ha sentito il grido del popolo iraniano e ha visto la brutalità del regime. Il messaggio di questa lotta è il rovesciamento totale della dittatura per arrivare ad una repubblica democratica basata su un governo popolare. La gente in Iran non vuole più sottostare alla dittatura politica né al governo teocratico: vuole un cambiamento totale.

A livello internazionale c’è stato sostegno da parte delle persone, sono arrivate anche le condanne del mondo politico. Solo che poi alcuni governi compiono azioni che vanno ad accondiscendere il regime iraniano, compiacendolo, come per esempio fanno gli Stati Uniti. Abbiamo visto questa tendenza anche in molte tesate giornalistiche internazionali, quando fanno riferimento alla complicità del regime iraniano al conflitto israelo-palestinese. L’ultimo gesto è stato compiuto proprio ieri, 2 novembre 2023, con l’affidamento all’Iran della Presidenza della Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (Unhrc) a Ginevra.

Hanno assegnato la gestione della Commissione per i diritti umani ad un paese in cui c’è una feroce dittatura, un regime misogino e disumano. E’ un fatto inaccettabile. C’è stata una condanna su questa decisone da parte di tutto il mondo. La politica internazionale si è fermata superficialmente solo al sostegno e alla condanna della situazione in Iran, non ha fatto altro. Quello che noi con la nostra associazione diciamo sempre alle istituzioni politiche è: ‘Smettete di appoggiare questo regime, il popolo e la Resistenza Iraniana faranno il resto’.

D: L’assegnazione del Premio Nobel per la pace di quest’anno all’attivista iraniana Narges Mohammadi e a tutte le donne iraniane per voi rappresenta un simbolo?

R: Sì, rappresenta solo un simbolo. Narges Mohammadi tutt’ora è una prigioniera politica. Non si riesce a mandare nessuna delegazione internazionale in Iran per indagare sui prigionieri politici. Il regime non permette a nessuno di svolgere indagini in modo autonomo sulle questioni legate alla condizione di questi detenuti.

L’obbligo del velo e il regime fuori controllo della polizia della morale

In Iran è stato approvato un nuovo disegno di legge sulla “cultura della castità e dell’hijab”. Questo ha previsto per le donne e le ragazze che appaiono sprovviste di velo nei luoghi pubblici e sui social o che svelano “nudità di una parte del corpo o indossano abiti sottili o aderenti”, delle severissime sanzioni a discapito non solo dei diritti umani, ma anche quelli sociali ed economici. Si parla di multe, confisca delle automobili, divieto di guida, detrazioni dallo stipendio, licenziamento e impossibilità di accedere ai servizi bancari. Il governo iraniano ha imparato a colpire le donne sotto il punto di vista economico per stroncare la loro indipendenza, la possibilità di autodeterminarsi.

D: Riguardo la questione del velo, di recente il governo iraniano ha approvato il disegno di legge sulla “cultura della castità e dell’hijab” che intensifica i controlli effettuati sulle donne e inasprisce le punizioni per chi non rispetta l’osservanza delle regole sul velo e le altre indicazioni previste dalla legge. E’ vero che la polizia della morale è arrivata addirittura a mandare messaggi sms di “avvertimento” alle donne avvistate senza velo all’interno delle loro macchine? Cosa può dirci al riguardo?

R: E’ verissimo. La polizia della morale fa addirittura le foto ai semafori a chi sta dentro la sua macchina senza velo. Agli inizi del periodo di rivolta il regime si era fatto propaganda per attrarre consenso dicendo che aveva abolito la polizia della morale. Questo è un inganno per confondere la comunità internazionale. Noi della Resistenza Iraniana da tempo cerchiamo di raccontare la verità, di parlare di tutto ciò che compie il regime, anche delle bugie che fa circolare: la polizia della morale esiste.

L’unica arma che ha il governo dell’Iran per poter controllare la società è la repressione, soprattutto sulle donne. Molte cose che succedono alle donne non vengono raccontante, come la storia della ragazza di 16 anni, Armita Geravand, picchiata dalla polizia perché non indossava il velo e morta poi in ospedale. Il regime ha tenuto nascoste le sue vere condizioni di salute per un mese, alla famiglia della giovane e al mondo intero, perché era tenuta in un ospedale militare. La vicenda è uscita quando hanno dovuto dichiarare la morte celebrale di Armita. Questo è accaduto perché il governo teme l’insorgere di un’altra rivolta nazionale. Il regime così aumenta la repressione su tutta la popolazione, in tutti i modi possibili.

Un’altra variabile da considerare per comprendere meglio ciò che succede in Iran è la situazione economica, che è disastrosa. La gente per questo motivo dice spesso che non ha niente da perdere. Perché non si ha una vita normale, non c’è lavoro, non c’è libertà, qualsiasi banalità che noi abbiamo in Italia, lì nella quotidianità non esiste. Per questo le persone continuano a combattere. Per mettere fine alla situazione, il popolo sta facendo la sua parte, ma deve agire anche la comunità internazionale, invece non lo sta facendo, specialmente la politica. La questione del velo forse è quella più semplice da affrontare perché in Iran il problema vero è che la libertà che non esiste. E’ il regime a decidere su qualsiasi cosa che voglia fare una persona, succede anche per esempio nella scelta del nome dei propri figli.

Israele – Gaza: l’Iran incendia il conflitto perché così sopravvive grazie alla guerra

D: Cosa pensano le donne iraniane di quello che sta succedendo a Gaza?

R: Per noi il cuore dell’integralismo islamico batte in Iran. La Resistenza Iraniana sostiene questa tesi da tempo, dagli anni Novanta quando uscì un libero che paragonava il pericolo del fondamentalismo alle armi nucleari, ritenendo queste ultime meno pericolose del primo. Il regime iraniano vive grazie alla guerra. Ha incendiato il conflitto tra Israele e Palestina per poter sopravvivere. Questa è una posizione della Resistenza. Il popolo palestinese e quello israeliano hanno bisogno di due stati diversi e non devono avere interferenze su questo da parte di qualsiasi altro governo.

Per noi i finanziamenti del regime iraniano per mercenari come Hamas, Hezbollah o altri gruppi contribuiscono ad aumentare l’entità di questa guerra. Hamas ragione come il regime iraniano: non gli importa della gente, della vita. In Iran dall’inizio del 2023 sono state giustiziate oltre 600 persone. Le autorità palestinesi hanno detto di recente che i capi di Hamas se ne stanno nei loro alberghi di lusso in Qatar o da altre parti mentre mandano la popolazione al macello: è vero, è proprio così, a loro non interessano le vite umane. Uccidere rientra nella loro logica perché è così che sopravvive il loro potere.