Il riscaldamento centralizzato in condominio è, per molti versi, molto efficiente e conveniente, ma si pone sempre il problema della ripartizione delle spese: come si dividono tra i condomini? La legge stabilisce chiaramente quali sono i criteri da adottare, ma ci sono alcuni elementi che rimangono comunque oggetto di lite.
Pensiamo, per esempio, ai prelievi involontari oppure le dispersioni di calore. Nel testo, spiegheremo come si dividono le spese del riscaldamento centralizzato in condominio, in base alle disposizioni di legge e, infine, analizzeremo a quanto ammontano le spese e la convenienza.
Come si dividono le spese del riscaldamento centralizzato
Quando si vive in condominio, ci sono alcune spese utili alla gestione dello stabile che devono essere ripartite tra i condomini. La divisione delle spese condominiali viene regolata dal Codice Civile, il quale individua il criterio generale per il quale i costi devono essere divisi proporzionalmente ai millesimi di proprietà.
Naturalmente, la regola di ripartizione generale, in base ai casi, può essere modificata in sede assembleare, ma con l’unanimità dei voti. Eccezionalmente, infatti, si possono adottare altri criteri. Si opta per altri criteri di ripartizione per le spese dei servizi che vengono utilizzati dai condomini in modo eterogeneo.
Tra le tante rientra anche il riscaldamento centralizzato che, inevitabilmente, viene sfruttato dai condomini in modo diverso. Le spese, in questo caso e in tanti altri casi (come quelle dell’ascensore) vengono ripartite in proporzione dei consumi e non dei millesimi.
Nel calcolo dei comuni, la somma dei costi per il riscaldamento è formata anche dai consumi diretti, nei quali si comprendono anche le dispersioni inevitabili. Pertanto, per una divisione equa delle spese, spesso, si adotta un criterio misto che prevede il pagamento di una quota fissa e di una quota variabile.
Quali sono le quote fisse e le quote variabili
In base alle disposizioni di legge, la quota fissa del riscaldamento condominiale viene ripartita tra tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà e, solitamente, si aggira al 30% della spesa complessiva.
La quota variabile dipende dal consumo effettivo dei condomini registrato dai contabilizzatori del calore. In base al Decreto legislativo n. 73/2020, l’assemblea di condominio può decidere di stabilire l’entità delle quote in funzione di particolari esigenze del condominio. Bisogna rispettare un’unica regola: la quota fissa non deve superare il 50% del totale.
Naturalmente, l’intero costo del riscaldamento centralizzato è a carico dei condomini. Il costo delle spese medie di riscaldamento centralizzato cambia in base ai casi.
Se si considerano le spese fisse e l’utilizzo che si fa del riscaldamento, per un appartamento di 120 mq le spese possono arrivare anche ai 2000 euro all’anno, al netto di rincari.
Conviene passare dal riscaldamento centralizzato a quello autonomo?
Con i rincari degli ultimi anni, il riscaldamento centralizzato è diventato un vero e proprio problema. I pagamenti, spesso, diventano proibitivi, per non considerare che il condominio è obbligato a tenere acceso il riscaldamento per un numero di ore giornaliere.
Quando la spesa diventa eccessivamente onerosa, considerato anche il poco utilizzo del riscaldamento oppure esigenze differenti, conviene staccarsi e passare a quello autonomo.
I vantaggi del distacco sono molti, a partire dalla ritrovata autonomia nel decidere quando accendere il riscaldamento e per quanto tempo tenerlo in funzione.
Quando è possibile staccarsi dal riscaldamento centralizzato? Ci si può distaccare solo quando vengono rispettate le condizioni previste dalla legge, ovvero se:
- Dal distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento;
- Non derivano aggravi di spesa per gli altri condomini.
Chi intende distaccarsi deve comunicarlo all’amministratore di condominio, allegando la perizia che dimostra la mancanza di conseguenze svantaggiose per gli altri condomini e il rispetto di tutte le disposizioni e le norme di legge.
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