Quello di Franco Zavaglia è un nome storico nel calcio italiano, uno dei primi a capire l’importanza del ruolo degli agenti. Ha operato negli anni in tutte le categorie, partendo dalle giovanili e arrivando fino in Serie A. Ha curato gli interessi di calciatori di fama mondiale e ha aiutato un giovanissimo Francesco Totti a diventare tale. Con il passare del tempo ha visto questo sport e il ruolo del procuratore cambiare radicalmente. Per commentare il fenomeno del mercato dell’Arabia Saudita, Zavaglia è intervenuto in esclusiva a Tag24.

Il mercato dell’Arabia Saudita, Zavaglia a Tag24

Non è ancora tempo di mercato, eppure le sirene dall’Arabia Saudita hanno già ricominciato a suonare. Tanti i nomi fatti, tanti i calciatori ma anche gli allenatori finiti nel mirino dei club sauditi. Già nel corso della scorsa estate, le offerte monstre arrivate dalla Saudi Pro League, hanno convinto tanti atleti importanti e blasonati che hanno scelto di abbandonare il calcio europeo. In inverno potrebbe accadere lo stesso, con gli sceicchi, proprietari delle società più importanti, pronti a fare nuove offerte indecenti. Per commentare il fenomeno e le prossime offerte che arriveranno dall’Arabia Saudita, Zavaglia, uno degli agenti che ha fatto la storia del calcio nostrano, è intervenuto in esclusiva a Tag24.

In Arabia Saudita si stanno preparando per un nuovo assalto al calcio europeo. È un fenomeno che si può arginare?

“Secondo me sì. È un fuoco di paglia come è stato un fuoco di paglia il mercato cinese. Quello non è un popolo abituato a vedere e seguire il calcio e questo a lungo termine verrà fuori. Il calcio è nato in Inghilterra, in Brasile, in Argentina, in Italia. Questi sono i Paesi in cui c’è il culto di questo sport e in cui si nasce e si cresce a pane e pallone. Se non c’è appeal diventa complicato, nonostante gli sceicchi abbiano sicuramente risorse illimitate. Penso che nel giro di due o tre anni si smorzerà tutta questa attenzione e questo fenomeno andrà a scemare. Sono Paesi che danno priorità ad altre cose, come ad esempio la religione e vivono bene anche senza calcio”.

Intanto però stanno condizionando il mercato europeo…

“Non fanno altro che far lievitare gli ingaggi dei calciatori, offrendo cifre spropositate e inadeguate per le altre Nazioni. Purtroppo per ora dobbiamo accettarlo. Lì non danno alcun valore al denaro, è la loro forza. Faranno il bene di alcuni calciatori, che decideranno di accettare queste proposte. Ripeto è già successo con la Cina ma arriveremo a un momento in cui ci sarà un freno. Non hanno feeling con il calcio”.

Eppure in Arabia Saudita sono pronti per i Mondiali del 2034. Anche le grandi organizzazioni, la Fifa e la Uefa si stanno piegando?

“Stanno accettando quei soldi. Non dico che siano quasi costretti visto il momento, ma c’è qualche dirigente che si sta facendo condizionare. Sono tante le voci che si sentono a riguardo, ma io penso che anche la Fifa e la Uefa, a lungo andare, faranno un passo indietro e si renderanno conto. Guardate cosa è successo con i Mondiali in Qatar. Non è stato di certo un successo, anzi lo definirei un mezzo flop. Il calcio intanto va avanti, ma ribadisco che lì non ci sono i presupposti per fare chissà cosa”.

I nomi fatti per gennaio sono tanti: da Mourinho a Leao, piuttosto che Dybala, Rabiot o Felipe Anderson. Cosa consiglieresti a professionisti simili?

“Penso che prima di fare una scelta così drastica e decidere di andare a giocare in Arabia Saudita, bisognerebbe fare una valutazione completa anche sul modo di vivere. Se fossero miei assistiti cercherei di capire prima se hanno famiglia o meno. La quotidianità e la serenità dei propri cari e dei propri figli non può avere prezzo. Uno come Immobile ad esempio, di cui si parla tanto, difficilmente secondo me andrà in Arabia Saudita, anche di fronte a proposte indecenti. E poi farei un discorso semplice, se cerchi i soldi vai; se cerchi soddisfazione, competitività e agonismo, non è quello il posto giusto. Quando si vince nel calcio europeo è diverso. Poi per i calciatori a fine carriera è un discorso a parte e infatti, a parte Milinkovic, per il resto a dire di sì sono quasi tutti giocatori più adulti”.

Ti ha sorpreso la scelta di Milinkovic?

“A uno come Milinkovic non avrei mai consigliato di andare in Arabia Saudita, a giocare in un campionato del genere. Non è una competizione allenante né qualificante. A fine carriera è diverso. È già successo che andassero in America o in Cina. Ma lì è solo una questione di denaro. So per certo, da parte persone molto vicine al Sergente, che c’è già un certo ripensamento. Il problema è che dopo un anno o due in un campionato del genere, con allenamenti molto blandi, ritrovare la forma fisica e il ritmo di prima non è facile”.