Quando è morta la sorella Saman Abbas, uccisa dai suoi familiari nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2021, era minorenne. Alì Haider, ormai diciottenne, ora dice di essere “cambiato” e di “volere giustizia”.

Oggi 3 novembre 2023 il giovane ha risposto alle domande dell’avvocato Liborio Cataliotti, legale dello zio Danish Hasnain, nella nuova udienza del processo davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Reggio Emilia.

Gli altri imputati per l’omicidio di Saman sono i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq e i suoi genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen. Quest’ultima ancora latitante in Pakistan.

Il fratello di Saman Abbas in aula per una nuova udienza del processo: “Ora mi sento italiano, prima ragionavo diversamente”

Il giovane, che si è costituito parte civile e viene ascoltato come indagato, ha spiegato l’origine di alcuni suoi comportamenti. In particolare di determinati atteggiamenti che avrebbero potuto far pensare a giudizi negativi nei confronti di Saman.

Io ora mi sento italiano, prima ragionavo in un altro modo perché ero cresciuto nella cultura della mia famiglia

ha spiegato.

Rispondendo a una domanda dei legali sul perché avesse inviato la foto del bacio tra Saman e il suo fidanzato ai parenti, per poi definire “cani” i carabinieri, ha dato ulteriori dettagli sulla situazione dell’epoca.

Io da piccolo ero cresciuto in questa cultura e avevo lo stesso modo  di pensare dei miei genitori. Mi dicevano che le foto non dovevano essere messe su internet perché poi la gente parlava in Pakistan. Da piccolo mi hanno insegnato che non potevo nemmeno fare amicizia con le ragazze perché era vietato. Non volevo che il mondo vedesse la foto del bacio. Ce l’avevo coi carabinieri, con gli assistenti sociali, col mio avvocato per le stesse ragioni. È cambiato tutto da quando sono andato in comunità. Oggi penso che i miei familiari hanno fatto una cosa sbagliatissima.

Omicidio di Saman Abbas, per il fratello colpevoli anche altri parenti

Parlando dei cugini Noman e Ikram, Ali Haider ha affermato che avrebbero agito “per rispetto dello zio che li picchiava”.

Il giovane ha puntato invece il dito nei confronti di altri due parenti, Arfan e Fakar. Stando a quanto da lui dichiarato in aula

hanno forzato tantissimo i miei genitori all’omicidio. Loro dicevano che se avessero avuto una figlia che si comportava così l’avrebbero punita.

In questo senso, il 18enne ritiene che questi familiari “fossero più colpevoli” rispetto ai cugini imputati. Poi, incalzato dalle domande dell’avvocato Cataliotti, il ragazzo ha ribadito di aver detto la verità in merito a quanto raccontato nella scorsa udienza sull’omicidio della giovane pakistana.

Alla domanda

Sei sicuro che, visto che eri distante dalla scena 28 metri, hai raccontato quello che hai visto coi tuoi occhi e non quello che hai visto nei filmati in tv?

ha risposto:

Sono sicuro. Ero sull’uscio della porta di casa e la luce che illuminava la scena era quella della casa gialla in fondo. Ho visto bene mio zio e i miei cugini.

Il giovane, in precedenza, aveva riferito che lo zio Danish aveva preso per il collo la povera Saman. Non ha però visto se le avesse anche messo la mano davanti alla bocca, ma di averlo solo pensato,

perché se no lei avrebbe urlato e si sarebbe sentita la voce.

La sofferenza per la morte della sorella Saman

Nella Corte d’Assise di Reggio Emilia è emersa anche tutta la sofferenza del giovane per quanto accaduto alla 18enne, barbaramente uccisa dai suoi familiari per aver rifiutato un matrimonio combinato in Pakistan.

Ho deciso di raccontare la verità perché soffro ogni giorno per Saman e perché sia fatta giustizia. Da quando è morta ho tenuto dentro di me tutto. Ora voglio liberarmi: ogni giorno soffro, la notte non dormo. Guardo le foto di Saman che ho appese in camera e sbatto la testa sul muro. È una cosa che mi porterò dentro tutta la via e penso che se c’è una cosa che mi può aiutare è sfogarmi e dire la verità. E voglio dirla anche perché voglio che sia fatta giustizia per mia sorella.

Il ragazzo è apparso molto scosso di fronte alle domande sul rapporto tra i suoi genitori, tanto da chiedere una pausa.

Le violenze del padre Shabbar

Al processo il fratello di Saman ha raccontato anche di vari episodi di violenza che avrebbe commesso il padre Shabbar nei suoi confronti, in quelli di sua sorella e della madre, però mai denunciati.

C’è stato un periodo che mio padre si ubriacava sempre e ci cacciava di casa, lasciandoci passare le notti al freddo e sotto la pioggia. Una volta siamo andati nel capannone (dell’azienda agricola in cui lavorava Shabbar, ndr) a dormire, siamo stati su una macchina per il trasporto delle cose e mia madre ha steso il suo velo per coprire me e mia sorella dal freddo.

Ivan Bartoli, il datore di lavoro di Shabbar, aveva suggerito loro di chiamare i carabinieri, perché non poteva cacciarli da una casa che non era la sua.

Mia madre rispose che saremmo finiti sui giornali e i parenti avrebbero parlato male di noi, così non ci fu nessuna denuncia. In un’altra occasione mio padre picchiò mia madre, buttando la sua testa contro la terra, perché lei aveva scoperto dove nascondeva le lattine di alcol.

Un clima di terrore, in cui la madre restava in silenzio per proteggere i figli.