La situazione cronica di sovraffollamento che caratterizza le carceri italiane è tale al punto che sentirne parlare non è più una novità. Analizzare e conoscere la realtà del sistema carcerario è tuttavia essenziale per ogni Paese che si voglia definire come realmente democratico.

Il principio fondamentale della detenzione, così come stabilito dalla nostra Costituzione, prevede infatti che essa non consista «in trattamenti contrari al senso di umanità» dovendo tendere «alla rieducazione del condannato». Ma come garantire il diritto a questo percorso se il rapporto tra detenuti, spazi e servizi disponibili è continuamente negativo?

Sovraffollamento carcerario, i numeri di Antigone aggiornati a settembre 2023

Il sovraffollamento carcerario è solo una tra le varie criticità che emergono nel sistema detentivo italiano e che ostacolano il reinserimento in società dell’individuo che ha scontato la sua colpevolezza .

Secondo gli ultimi dati aggiornati del rapporto sulle Condizioni di detenzione dell’associazione Antigone – che da anni si batte per i diritti e le garanzie del sistema penale – al 30 settembre 2023 erano 58.987 le persone presenti nelle carceri italiane a fronte di solo 51.285 posti regolamentari e circa 47.600 posti effettivamente disponibili. Numeri che portano il tasso di affollamento effettivo al 124% e che potrebbero presto peggiorare.

Secondo l’associazione Antigone, infatti, negli ultimi sei mesi si è assistito a un’ulteriore accelerazione (+4.2%) dell’ingresso di nuove unità nelle carceri italiane per un totale di ben 2.382 persone.

Se questo tasso di crescita si confermerà stabile e il trend non sarà invertito, in un anno potranno essere superate le 63 mila presenze riportando l’Italia ad un tasso di affollamento che non si vedeva dal 2013, anno in cui il Paese fu condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamento inumano e degradante nelle carceri.

La redazione di TAG24 ha affrontato questo l’argomento, con le sue cause e le sue implicazioni, con Alessio Scandurra, membro del Comitato Direttivo e Coordinatore dell’osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone.

Scandurra (Antigone): “Quando si parla di sovraffollamento carcerario si pensa solo a un problema di spazio. Ma le persone non sono scatole”

Scandurra, quali fattori concorrono a determinare la cronica condizione di sovraffollamento nelle carceri italiane?

«Gli ultimi dati disponibili indicano una situazione di costante crescita nelle presenze in carcere.

Il sovraffollamento, in ogni caso, è una condizione strutturale del nostro sistema penitenziario. Dagli anni ’90 la popolazione carceraria è infatti cresciuta costantemente, salvo che in alcune occasioni straordinarie. La pandemia da Covid-19, ad esempio, ha determinato un calo dei numeri nelle presenze. Peccato che, appena terminata l’emergenza, la crescita delle unità sia ripartita.

Ovviamente la crescita è stata disomogenea nel Paese, e dunque anche le situazioni di affollamento sono diverse di regione in regione. Se in questo momento la media nazionale di sovraffollamento è del 115%, in Lombardia il tasso è al 140% e in Puglia al 148%. A loro volta, i singoli istituti sono diversi l’uno dall’altro. A Brescia, nel carcere di Canton Mombello, il tasso di affollamento sfiora oggi il 200%.

Il problema è che, quando si sente parlare di affollamento nelle carceri, si pensa soprattutto alla mancanza di spazio fisico, come se le persone fossero scatoloni e il carcere fosse un magazzino non abbastanza capiente. Ma le persone non sono degli scatoloni, sono esseri umani che per legge e secondo Costituzione devono scontare la loro pena in condizioni di dignità affinché questa sia orientata al reinserimento sociale.

Per questo obiettivo non serve solo lo spazio, serve poter rispondere ai bisogni di salute, ai bisogni educativi della persona detenuta, garantendo al contempo i servizi essenziali di cui ognuno ha diritto. Per far sì che la pena sia rieducativa e che la persona non torni a delinquere serve offrire una vasta gamma di opportunità. Non è dunque solo questione di scaffali: il tema è avere i servizi necessari e un personale preparato e adeguato numericamente ai detenuti che ci sono».

Scandurra: “La società sottovaluta le conseguenze che il sovraffollamento carcerario ha sul bisogno di sicurezza collettivo”

Servirebbero nuove carceri?

«Si sente spesso parlare di nuove carceri, ma la verità è che si tratta di una formula molto cortese per segnalare che non ci si occuperà del problema. Da non so quanti anni si parla di piani straordinari per l’edilizia penitenziaria, ma non è mai successo niente nonostante tutte le conferenze stampa e gli annunci di nomina dei vari Commissari.

All’inizio anche io credevo a queste intenzioni, ma oggi dopo anni posso dire che sono solo tentativi di buttare la palla in tribuna».

C’è una difficoltà politica a intervenire perché forse nella società è ancora diffusa l’idea che chi è in carcere se lo sia meritato?

«Questo fattore sicuramente c’è e influisce e non solo in Italia. La verità è che occuparsi di carceri non paga perché l’opinione pubblica, in linea di massima, non ha molto interesse nel tema. Aggiungiamo inoltre che parlare di detenuti significa parlare di una popolazione altamente problematica che ha una gamma di bisogni importante.

Diciamoci la verità: in carcere non ci sono le persone che hanno fatto i reati più gravi, o meglio ci sono ma non sono la maggioranza. La maggior parte della popolazione carceraria si trova in detenzione perché non ha una casa, ha problemi di salute mentale o con le sostanze e dunque non accede a tutta quella serie di forme alternative di detenzione che il nostro sistema prevede a parità di reato.

In questo modo il carcere non è il luogo dei più cattivi o dei più pericolosi, ma il luogo dei più disperati.

Avere una condizione sistemica di sovraffollamento carcerario non è infine come avere un pronto soccorso senza medici che intercetta necessariamente le proteste della popolazione. L’utenza che soffre dei disservizi in carcere non è in grado di organizzarsi o di lamentarsi.

Il problema è che la società sottovaluta le conseguenze che il sovraffollamento non solo ha sui detenuti, ma sulla sicurezza in generale. Se la pena non riesce a essere rieducativa, è chiaro che le persone escono e delinquono di nuovo».

Scandurra: “Migliorare le condizioni delle carceri ha un costo non solo economico, ma anche politico”

C’è una correlazione tra sovraffollamento e aumento di fenomeni come violenze, autolesionismo e suicidi? Secondo il vostro rapporto il 2022 è stato un anno record per il numero di persone che si sono tolte la vita in carcere.

«È vero che il 2022 è stato un anno record per i suicidi, ma non lo è stato per il sovraffollamento. Dunque non possiamo tracciare questa relazione. Il tema dell’autolesionismo, dei suicidi e in generale della disperazione può essere contrastato solo dando speranza alle persone, dando loro la sensazione di poter davvero migliorare la loro vita.

Per fare questo serve però un personale – che non c’è – in grado di conoscere la popolazione carceraria. Uno dei problemi strutturali del nostro sistema è proprio questo: più le carceri sono sovraffollate più non riusciamo a conoscere le persone che le attraversano. In questo senso c’è sicuramente una correlazione con il peggioramento delle condizioni di disperazione.

Chi compie un gesto estremo in carcere si trova oerò in una situazione non così diversa da chi compie lo stesso atto fuori. Credo ci sia un tema di salute mentale più generalizzato che riguarda tutta la società, come dimostrano i dati che escono e che sono sempre più preoccupanti».

Quali fattori potrebbero contribuire a migliorare la situazione nelle carceri italiane?

«Le risposte alle domande che arrivano in carcere non sono in capo all’amministrazione penitenziaria, ma ad altri soggetti. La scuola in carcere non la fa l’istituto penitenziario, ma il sistema scolastico nazionale. Lo stesso vale per la sanità. Il nostro sistema funziona in questo modo – ed è un bene – perché garantisce al detenuto lo stesso docente e lo stesso medico che ha il cittadino libero.

Se questi servizi sono in crisi fuori, però, è chiaro che lo saranno anche dentro. In un contesto in cui mancano sempre più risorse per i servizi pubblici è chiaro che il carcere non ha priorità e viene lasciato indietro. Da questo punto di vista, peraltro, la situazione è destinata a peggiorare dati i numeri che abbiamo.

A livello legislativo una mano potrebbe arrivare con un intervento significativo sulla legge sulle droghe. Così facendo cambierebbe probabilmente il panorama della popolazione carceraria italiana.

Così come misure volte a favorire l’integrazione delle persone straniere non regolari contribuirebbero ad alleggerire i numeri della detenzione. L’irregolarità e la mancanza di lavoro hanno evidentemente un impatto sulla criminalità. Queste misure però avrebbero un costo, non tanto economico ma soprattutto politico».

Scandurra: “I problemi che sono dentro al carcere arrivano da fuori. Ecco perché è da lì che devono arrivare le soluzioni”

L’Italia riceve circa 4mila ricorsi l’anno perché le condizioni di detenzione sono inumane e degradanti. Come si colloca il nostro Paese rispetto agli altri Stati membri europei?

«Questo tipo di comparazione non è facile. Fino a qualche anno fa si andava fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo e si ottenevano dati comparabili con gli altri Paesi. Oggi queste condanne cui lei fa riferimento arrivano da tribunali italiani.

Quello che possiamo osservare, come dicevamo prima, è che sicuramente dove le cose funzionano meglio e le strade sono più pulite o ci sono più servizi pubblici chiaramente c’è un riflesso anche nel sistema carcerario.

Paragonare il nostro tasso di affollamento con altri Paesi europei è poi difficile anche per un altro motivo. Ogni Paese utilizza i suoi parametri per calcolarlo: l’Italia ad esempio confronta la capienza che ha e il numero di persone effettivamente detenute. Altri Stati hanno criteri diversi.

Per molto tempo, ad esempio, si diceva che i Paesi dell’Est Europa non avevano questo problema. La verità è che i loro detenuti erano più stretti che da noi, ma semplicemente il criterio di sovraffollamento era considerato diversamente».

Possiamo concludere dicendo che le carceri sono uno specchio della nostra società e che la società non è solo fuori, ma anche dentro gli istituti di detenzione?

«I problemi che sono dentro al carcere vengono da fuori. Allo stesso modo, anche le soluzioni devono arrivare da fuori: non si può immaginare che l’amministrazione penitenziaria si trasformi in una macchina in grado di produrre da sola l’inserimento nella società. Serve che tutto il sistema si faccia carico di questa necessità».

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