Sono all’incirca 120mila i casi di ictus che, ogni anno, secondo le più recenti stime, si verificano in Italia e che, se non presi e curati nel minor tempo possibile, possono avere conseguenze molto gravi, tra cui il decesso o una disabilità permanente: proprio per sensibilizzare la popolazione su un argomento così importante si celebra oggi, domenica 29 ottobre, la Giornata mondiale dell’ictus 2023. Ne abbiamo parlato con il professor Mauro Silvestrini, neurologo e presidente dell’Italian Stroke Association – Associazione Italiana Ictus.
Giornata mondiale dell’ictus 2023: quali sono i sintomi e come riconoscerli
Prima di vedere quali possono essere i sintomi di un ictus e cosa fare quando si manifesta, dobbiamo capire di che cosa stiamo parlando. A spiegarcelo oggi, in occasione della Giornata mondiale dell’ictus 2023, è il neurologo Mauro Silvestrini. “L’ictus – afferma il presidente dell’Italian Stroke Association a Tag24.it – è una condizione acuta legata all’ostruzione improvvisa di un’arteria o alla rottura dell’arteria stessa all’interno del cervello”.
“Nel primo caso abbiamo l’ictus ischemico, che è quello più frequente e colpisce l’oltre 80% dei pazienti. Nel secondo caso invece abbiamo l’ictus emorragico, che colpisce circa il 15-20% ed è un evento più raro. La conseguenza, in ogni caso, è che una parte più o meno ampia del cervello (questo dipende dalla dimensione dell’arteria che si ostruisce o si rompe) va incontro ad una sofferenza. Ciò porta rapidamente ad alterazioni gravi”.
“Il cervello – ricorda il professor Silvestrini – non è un organo in grado di rigenerarsi. Dunque se non si riesce ad intervenire rapidamente i danni possono diventare permanenti e più o meno gravi a seconda delle aree interessate e delle dimensioni delle aree coinvolte”.
Ma come si manifesta un ictus e come riconoscere i sintomi? “I modi sono diversi, ma l’elemento che accomuna tutti è il fatto che il paziente passa da una condizione di normalità ad un improvviso deficit. I sintomi più frequenti sono la perdita di forza di una metà del corpo, la perdita di sensibilità, la bocca che si storce, l’improvvisa capacità di esprimersi e di comprendere ciò che viene detto, la perdita di vista ad un occhio, la non coordinazione di movimenti”.
Come prevenire un ictus
“La previsione di un ictus si fa tendenzialmente attraverso la conoscenza delle situazioni che possono predisporre un paziente a presentare una possibile occlusione o rottura di un’arteria del cervello”. Ci sono, spiega il dottore, dei fattori di rischio modificabili come la pressione arteriosa elevata, il diabete, le dislipidemie. Esistono anche comportamenti che sicuramente non fanno bene al nostro corpo. Quali? “L’essere sovrappeso, l’eccessivo consumo di fumo di sigarette, di alcol , di droghe, la scarsa attività fisica”.
“L’ictus inoltre – aggiunge il presidente di Italian Stroke Association – può colpire soggetti di qualsiasi età. Ma può essere più frequente dopo i 65 anni”. Questo però non vuol dire che le persone più giovani siano esenti dal rischio. Anzi, negli ultimi anni gli specialisti hanno osservato che persone sempre più giovani vengono colpite da ictus.
Ictus, conseguenze: quali sono?
Il dottor Mauro Silvestrini spiega, a questo punto, cosa fare quando si manifestano i sintomi sopra elencati. La prima cosa fondamentale da fare è recarsi, nei tempi più rapidi possibili, in un ospedale che presenti un’unità ictus. Ma come mai proprio in queste strutture e non in una qualsiasi? “Qui esistono percorsi che consentono ai pazienti di fare tutti gli accertamenti velocemente e di essere sottoposti a terapie adeguate”.
“Se i vari interventi vengono fatti molto rapidamente, entro le primissime ore, minore è la probabilità di avere conseguenze gravi. Il paziente può non solo sopravvivere, ma anche recuperare rapidamente le funzioni che erano andate in deficit”.
Nei casi peggiori però l’ictus può portare anche alla morte. Ma non solo. “L’ictus è la prima causa di disabilità per malattia. Dopo i traumatismi da incidente, il maggior numero di pazienti con disabilità ha avuto un ictus cerebrale”.
“Il paziente dopo un ictus può non recuperare l’uso del braccio o della gamba, può avere un disturbo del linguaggio, può avere un disturbo nella capacità di esplorare il campo visivo, può mostrare una perdita di sensibilità e una incoordinazione dei movimenti. Questi sono i disturbi principali che si possono sviluppare dopo un ictus”, afferma il professore ai nostri microfoni.
Che cos’è l’Italian Stroke Association – Associazione Italiana Ictus e di cosa si occupa
Diversi sono gli obiettivi di ISA-AII. In primo luogo, i professionisti che ne fanno parte vogliono entrare in contatto con medici, infermieri, fisioterapisti, logopedisti ed esperti sanitari potenzialmente interessati alla gestione dell’ictus, in modo tale da insegnare e far capire quali sono gli approcci adeguati nella gestione di un paziente.
“In particolare, la nostra Associazione si occupa della stesura e della diffusione di linee guida e raccomandazioni che debbono essere tenute in considerazione nella gestione di questo fenomeno in tutte le diverse fasi. Dalla prevenzione, alla fase acuta, alla riabilitazione”.
“Poi vogliamo arrivare ovviamente ai pazienti e ai cittadini a cui cerchiamo di insegnare come si manifestano gli ictus, come comportarsi quando si presentano i sintomi e quali comportamenti evitare. La nostra è una divulgazione scientifica ma anche, al tempo stesso, popolare. Facciamo riunioni, convegni e organizziamo attività rivolte sia ai professionisti del settore sia alla popolazione e specialmente ai giovani. Più persone vengono coinvolte, più è facile arrivare ai pazienti in questo campo in cui c’è bisogno di molte energie”.
“Negli ultimi anni abbiamo fatto progressi incredibili perché oggi noi riusciamo a curare in maniera adeguata un numero di pazienti che potenzialmente non ha limiti. Al momento il limite vero è rappresentato dalla possibilità di poter curare un paziente entro le prime ore. Noi possiamo curare tutte le problematiche, a patto che il paziente arrivi nelle strutture specializzate in tempi rapidi”.
“Noi abbiamo imparato fino a che punto possiamo spingerci con le terapie, abbiamo capito quali sono le indicazioni, le tecniche di diagnosi, i limiti di tempo, quando procedere con un intervento rispetto ad un altro”, asserisce il professore a Tag24.it. “Vent’anni fa si moriva molto di più e il rischio di avere danni permanenti era molto più alto rispetto ad oggi”.
Giornata mondiale dell’ictus 2023: perché è importante
È fondamentale sensibilizzare tutti, anche i giovani. La prevenzione è molto importante. “Anche grazie a questa abbiamo osservato un calo sensibile del numero di ictus”, spiega il dottore. “Oggi però vediamo pazienti sempre più giovani. Questo è legato al fatto che da giovani ci si controlla di meno e si presta meno attenzione ad evitare abitudini pericolosi, come il fumo, l’abuso di sostanze di alcol e le situazioni di sovrappeso e obesità“.
“L’obiettivo più importante che abbiamo è quello di cercare di ridurre il numero di ictus. Noi ci siamo posti un obiettivo in 5 anni di riduzione del 15%. Ogni anno secondo le stime più recenti ci sono 120.000 casi. Per farlo è importante l’aspetto divulgativo. Le persone devono sapere quali sono i rischi e come correggere i comportamenti che potenzialmente possono portare ad avere un ictus”.
“Il secondo obiettivo è quello di garantire un’omogeneità delle cure. Purtroppo nel nostro Paese ancora oggi ci sono molte differenze territoriali nelle cure. Differenze che non sono più accettabili. Ad esempio, tutti i centri specializzati devono avere le stesse possibilità di interagire con le autorità sanitarie e politiche. Bisogna aprire delle unità ictus laddove c’è carenza e c’è bisogno. La distribuzione territoriale è sicuramente migliorata negli ultimi anni, ma ci sono ancora passi da fare”.
“Poi vogliamo far capire all’interno degli ospedali che l’ictus è una condizione che non consente di perdere tempo. È importante dunque la velocità dei percorsi, il codice rosso. Perché ogni minuto costa milioni di cellule che non recupereremo più. Quindi è impossibile che un paziente che arriva in pronto soccorso con un ictus venga messo in attesa o in fila per fare una risonanza o una TAC cerebrale. Deve avere la priorità assoluta e deve essere preso in carico subito”.
Infine, conclude il presidente dell’Italian Stroke Association, è fondamentale sviluppare al meglio l’assistenza post-ictus. “Su questo siamo ancora un po’ indietro, sulla gestione dei pazienti meno fortunati che presentano disabilità necessitano di una terapia riabilitativa. C’è una sproporzione perché la fase acuta si esaurisce in poco tempo, mentre quella riabilitativa è molto più lunga e richiede diverse cure. Ci deve essere maggiore assistenza e questo vuol dire che si devono creare strutture e professionisti in grado di fare adeguati trattamenti. Anche a domicilio”.