È stato rinviato a giudizio dal pubblico ministero di Brescia il terzo presunto complice dell’omicidio del rappresentante di orologi Carlo Mortilli, consumatosi al West Garda di Padenghe nel 1997. A riaprire il caso 26 anni dopo i fatti è stato l’esame del Dna, che ha permesso di appurare la presenza del 50enne di Messina Alessandro Galletta sulla scena del crimine. In passato l’uomo era già finito nel mirino degli inquirenti ma, per mancanza di prove, era stato assolto. Per la difesa gli elementi raccolti contro di lui sarebbero inutilizzabili.

Omicidio di Carlo Mortilli al West Garda di Padenghe: la svolta dopo 26 anni

Carlo Mortilli aveva 30 anni quando, la sera del 21 maggio 1997, fu rapinato e ucciso a colpi di pistola dopo essere stato attirato in una trappola da un cliente che – promettendogli di fare acquisti – gli aveva dato appuntamento, presentandosi insieme ai suoi complici e tendendogli un agguato. Faceva il rappresentante di orologi.

Per la sua morte, rimasta a lungo un mistero, sono stati condannati in via definitiva Marcello Fortugno e Fabio Cosoleto, il primo a 17 anni e otto mesi (per omicidio e porto abusivo d’armi), il secondo a quattro anni, per rapina. All’appello mancava “il terzo uomo“, colui che li avrebbe aiutati ad avvicinare il 30enne e a sparargli. Si tratterebbe del 50enne messinese Alessandro Galletta, già finito in carcere per reati fiscali.

In passato era finito nel mirino degli inquirenti, ma assolto per mancanza di prove. Ad incastrarlo sarebbe stato ora il Dna, la cui comparazione con le tracce rinvenute sulla scena del crimine ha dato esito positivo. 26 anni dopo i fatti il suo nome è stato iscritto nel registro degli indagati. Ieri, 27 ottobre, in udienza preliminare il pm Francesco Carlo Milanesi ha chiesto il suo rinvio a giudizio con l’accusa di omicidio aggravato in concorso.

La difesa si è opposta, sostenendo che, siccome il prelievo genetico è stato condotto senza la presenza della controparte, sarebbe inutilizzabile. La decisione del giudice sarà resa nota il primo dicembre prossimo.

Tanti i cold case riaperti dopo anni dai fatti

Negli scorsi mesi diversi cold case sono stati riaperti a tanti anni dai fatti. Si pensi a quello di Sargonia Dankha, la 21enne di origine irachena scomparsa nel nulla in Svezia nel 1995. Per la vicenda è da poco finito a processo Salvatore Aldobrandi, un 73enne di Sanremo: è accusato di aver ucciso la giovane, sua ex fidanzata, nascondendone il corpo all’interno dell’abitazione in cui all’epoca viveva.

Ammontano a quattro, invece, le persone finite nei guai per il caso della prima donna sequestrata e poi uccisa dalla ‘ndrangheta al Nord, Cristina Mazzotti. Sulla sua morte si era tornati ad indagare solo di recente. Dopo essere stata rapita, la ragazza, all’epoca 18enne, era stata trovata senza vita in una discarica di Gallarate, in provincia di Novara. Per giorni sarebbe stata tenuta prigioniera e drogata. In 13 erano già stati condannati per la vicenda.

Non ha trovato ancora responsabili, invece, l’omicidio di Laura Bigoni, morta in circostanze misteriose all’età di 23 anni nella casa-vacanze degli zii a Clusone, in provincia di Bergamo. Anche sul suo caso, 30 anni dopo i fatti, si è tornati ad indagare, grazie ai nuovi elementi emersi dalla testimonianza di una donna. Gli inquirenti sarebbero già arrivati al nome del potenziale assassino, un imprenditore milanese rimasto immischiato in diversi casi di violenza sessuale. Presto anche la sua storia potrebbe arrivare ad una svolta.

Ne parlavamo in modo approfondito in questo articolo: 30 anni fa l’omicidio (ancora irrisolto) di Laura Bigoni: perché e su cosa si è tornati ad indagare.