Tra le tante blockchain che si propongono di risolvere i problemi evidenziati dalle reti di prima e seconda generazione, un posto di rilievo spetta sicuramente a Algorand. Il progetto è stato varato nel corso del 2017 ed è sfociato due anni dopo nel lancio del token ALGO. La sua notevole reputazione è dovuta ad una serie di caratteristiche tecnologiche che hanno effettivamente segnato un salto di qualità.

In particolare, Algorand riesce a fornire un buon mix tra le esigenze di scalabilità e decentralizzazione, e quelle in termini di sicurezza. Un a miscela che non è propriamente scontata, come dimostra l’esperienza di altre blockchain che cercando di intraprendere la stessa strada si sono trovate ben presto a scontare ambizioni di partenza forse troppo elevate.

Algorand: cos’è e cosa si propone

Algorand è una blockchain espressamente ideata nell’intento di unire velocità delle transazioni e decentralizzazione, senza rinunciare alla necessaria sicurezza. Stiamo in pratica parlando dei problemi che sin dall’inizio hanno gravato Bitcoin ed Ethereum, che non sono in pratica mai riuscite a risolvere il cosiddetto trilemma delle criptovalute.

Per cercare di dare una risposta effettivamente adeguata a tali esigenze, Silvio Micali, un informatico del Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha dato vita nel 2017 alla sua blockchain, per poi lanciare due anni più tardi la mainnet, completa di token nativo, ALGO. Nel sistema da lui approntato, un ruolo chiave è detenuto dal meccanismo di consenso, che è il Pure Proof of Stake (PPoS) con supporto per blockchain di livello 1 personalizzate.

L’importanza del Pure Proof of Stake

Proprio il Pure Proof of Stake consente di tenere insieme le esigenza di decentralizzazione e scalabilità disattese da altre reti. Va in pratica a scegliere in maniera assolutamente casuale i validatori e i proponenti dei blocchi, operando la sua scelta tra coloro che hanno sviluppato e generato una chiave di partecipazione (participation key).

Se il meccanismo così congegnato è abbastanza simile a quello che distingue lo staking su Ethereum e altre blockchain, a differenziarlo è una caratteristica decisiva: non prevede una quantità minima di token da mettere in deposito. Ne consegue che chi ha più gettoni ha più possibilità di essere scelto, ma che anche chi ne ha una quantità minima potrebbe essere premiato dalla buona sorte.

In tal modo, non solo è possibile formare una comunità più larga, ma anche preservare la decentralizzazione di cui molte reti si fanno vanto, senza che però la stessa esista nella realtà. Una decentralizzazione che, al contrario, è effettiva in Algorand, andando quindi incontro ad una delle basi dell’economia crypto delineata da Satoshi Nakamoto.

Le prospettive di Algorand

Se lo staking e il Pure Proof of Stake rappresentano le peculiarità tecniche del progetto di Micali, per quanto riguarda la tokenomics Algorand prevede un’offerta massima pari a 10 miliardi di monete virtuali, la cui distribuzione dovrebbe terminare entro il 2030. Si tratta quindi di un token deflazionistico, una caratteristica che potrebbe premiarlo sul mercato. Soprattutto in un momento in cui gli investitori sono alla ricerca di beni rifugio in grado di proteggerli dalla fiammata dei prezzi in atto.

Oltre alle caratteristiche tecnologiche, ALGO evidenzia un’altra peculiarità che potrebbe sospingerne le fortune. I costi collegati al suo utilizzo all’interno delle transazioni sono molto limitati, attestandosi ad appena 0,0014 dollari. Considerato che nel prossimo futuro è previsto un notevole aumento delle operazioni in criptovalute, soprattutto in quei Paesi ove l’inflazione morde quotidianamente il potere d’acquisto delle valute fiat, non stupirebbe eccessivamente una rilevante ascesa di Algorand.

In tal caso, anche in considerazione della prevista bull run che dovrebbe essere innescata dal quarto halving di Bitcoin, previsto per la metà del prossimo anno, la sua quotazione potrebbe iniziare a correre, in linea con l’intero settore.