Il meccanismo di consenso Proof-of-Stake rappresenta la più logica alternativa a quel Proof-of-Work sotto accusa ormai da anni a causa degli eccessivi consumi. La sua crescente popolarità deriva dal fatto di garantire una maggiore decentralizzazione rispetto al sistema su cui gira la blockchain di Bitcoin, minori costi e una sostenibilità che va incontro alle esigenze di un ambiente sempre più sotto stress.
Proprio questa peculiarità, peraltro, sottrae le reti che lo hanno adottato al pericolo di un bando il quale pende ormai da tempo su BTC e blockchain PoW in generale. Un fattore che potrebbe avere ben presto conseguenze di larga portata sugli stessi prezzi delle criptovalute, alla luce dell’ostilità di alcuni governi europei.
Proof-of-Stake: di cosa si tratta?
Il meccanismo di consenso Proof-of-Stake è la risposta ad alcune problematiche collegate all’utilizzo dell’algoritmo Proof-of-Work. Com’è noto, ogni blockchain si affida ad un protocollo cui è affidato il compito di rispondere ad una questione cruciale, nota come Problema dei Generali Bizantini. Serve cioè un meccanismo in grado di regolare le decisioni su una determinata rete e di affrontare le problematiche poste dal trilemma della blockchain.
Il Proof-of-Work, adottato da Bitcoin, è in grado di assicurare il massimo di sicurezza, ma sconta questa caratteristica con transazioni lente e costose. Per riuscire a rendere la rete più scalabile, un gran numero di progetti ha quindi deciso di affidarsi al Proof-of-Stake. Tale meccanismo, infatti, è in grado di garantire una maggiore velocità transazionale e costi molto meno elevati.
A questo primo problema, se ne aggiunge un altro, quello degli eccessivi consumi del PoW. Il mining di BTC, infatti, presuppone la risoluzione di problemi molto complessi, per i quali serve grande potenza di calcolo. I macchinari necessari allo scopo sono non solo costosi, ma anche energivori. L’energia consumata dall’icona inventata da Satoshi Nakamoto, infatti, presenta gli stessi livelli di consumo di un Paese come la Svizzera. Quindi eccessivi, a differenza di quelli del Proof-of-Stake.
Come funziona il Proof-of-Stake
Nel caso del meccanismo Proof-of-Stake, il mining avviene in maniera completamente diversa. Chi intende assumere la funzione di validatore, e ritagliarsi i vantaggi di carattere finanziario ad essa collegati, deve mettere in deposito (staking) i propri token, all’interno di uno smart contract. La scelta avviene proprio tra coloro che lo avranno fatto, ma in maniera completamente casuale.
Ne discende che chi mette in staking tanti gettoni ha più possibilità di essere scelto dalla sorte, ma chi ne mette di meno potrebbe essere premiato lo stesso dalla fortuna. Una volta scelti, i validatori, devono a loro volta condurre il proprio lavoro nel migliore dei modi. Nel caso in cui convalidino più o meno volutamente dati errati o fraudolenti possono però essere penalizzati con la perdita di una parte o della totalità della loro partecipazione.
Il meccanismo che abbia descritto è stato adottato sin dall’inizio da criptovalute come Solana, Tron, EOS e Cardano, mentre per quanto concerne Ethereum, lo ha implementato con il Merge, sostituendolo al proof-of-Work. Una decisione che ha in pratica sottratto l’azienda ai pericoli sempre presenti di un bando di carattere politico.
I vantaggi e gli svantaggi
Il proof-of-Work presenta molti vantaggi e anche qualche difetto, da mettere sul piatto della bilancia. Tra i primi la maggiore velocità di esecuzione delle transazioni e i costi estremamente ridotti. Sotto questo secondo punto di vista ha rappresentato una benedizione per Ethereum, abbattendo il costo del gas necessario per le operazioni del 99%, almeno stando alle dichiarazioni dell’azienda.
L’altro grande vantaggio è la compressione dei consumi elettrici, testimoniati proprio da Ethereum, i cui dati erano estremamente significativi prima del Merge. Abbattendo i livelli di consumo la sua blockchain si è anche sottratta al pericolo di provvedimenti come quelli prospettati nei confronti di Bitcoin. Occorre ricordare, infatti, che il governo svedese ha chiesto di bandire il mining Proof-of-Work dal suolo europeo.
Tra gli svantaggi occorre invece mettere i minori livelli di sicurezza nei confronti del Proof-of-Work. Le catene che lo adottano sono più esposte ad attacchi hacker, proprio in quanto la spesa per condurli è molto meno onerosa rispetto a quella necessaria per affittare l’hash power necessario. Per evitarli è comunque stato adottato il principio della casualità in fase di scelta dei validatori, tale da costituire un buon argine in tal senso.