Sulle pensioni della quota 103, confermate nel 2024 ma a differenti condizioni rispetto a quelle applicate quest’anno, irrompono i lavoratori che abbiano iniziato a lavorare nel 1983. L’anno di inizio coincide con chi ha iniziato a versare contributi previdenziali e non abbia mai subito dei buchi contributivi, nel frattempo. Altrimenti, occorre aver iniziato a lavorare anche qualche anno prima, ma a quel punto si riduce la convenienza.

In ogni caso, chi sceglierà questo canale di anticipo previdenziale rispetto alla pensione di vecchiaia o a quella di soli contributi (disciplinate dalla riforma Fornero), dovrà mettere in conto una serie di paletti che andranno a incidere, in primo luogo, sul futuro assegno di pensione.

La misura più penalizzante è il ricalcolo dei contributi versati con il sistema contributivo puro, meno conveniente rispetto al sistema previdenziale misto o contributivo. Anche in questo caso, si perdono anni di retributivo, almeno dodici. La scelta che dovranno fare i lavoratori in uscita è, quindi, su più fronti, pesando convenienza nell’agganciare la misura che garantisce la prima uscita utile con quanto si perde mensilmente.

Pensioni quota 103 del 2024, così l’uscita per chi ha iniziato a lavorare nel 1983

Il governo guidato da Giorgia Meloni dovrebbe confermare le pensioni a quota 103, ma la misura sarà di gran lunga differente rispetto a quella in vigore quest’anno. Invariati risultano i requisiti anagrafici e di versamenti previdenziali rispetto al 2023. Si dovrà avere l’età di 62 anni per uscire unitamente a 41 anni di contributi versati. Questo livello di contribuzione riguarda chi ha iniziato a lavorare nel 1983.

Senza buchi contributivi, si arriva a maturare la quota 103 alla prima età utile per andare in pensione. Se ci sono dei buchi contributivi, la rigidità dei due parametri impone di rimandare l’uscita o di avere un’età più elevata, avvicinandosi così all’età della pensione di vecchiaia dei 67 anni.

Quota 103, chi esce nel 2024?

Conti alla mano, dunque, i 41 anni di contributi possono essere raggiunti unitamente a 62 anni di età, quindi per i nati del 1962; altrimenti, chi è nato nel 1961 esce a 63 anni (sempre con 41 anni di contributi). Oppure i nati nel 1960 escono a 64 anni, ma si può arrivare anche ai 65enni (nati nel 1959) o ai 66enni (1958).

Tuttavia, la maggiore convenienza a uscire con quota 103 ce l’hanno coloro che hanno la prima età utile per andare in pensione. I nati nel 1962, quindi, non dovrebbero pensarci sopra, anche se con 22 mesi di lavoro in più potrebbero uscire con la pensione anticipata di soli contributi.

Pensioni, quale convenienza per chi ha la quota 41 di contributi?

Quello della convenienza economica della quota 103 è l’aspetto che sposta l’ago della bilancia. Infatti, la misura rielaborata dal governo nella legge di Bilancio 2024 prevede il ricalcolo con il metodo contributivo puro dei versamenti effettuati.

Ciò significa che un lavoratore con 41 anni di contributi, avendo iniziato a lavorare nel 1983, dovrà “subire” la perdita del più vantaggioso metodo retributivo per gli anni di versamento dal 1983 a tutto il 1995. Si tratta di 12 anni che costituiscono il minimo di perdita, perché per chi fosse nato uno, due, tre o quattro anni prima il taglio potrebbe essere più elevato, soprattutto in presenza di buchi contributivi verificatisi dopo il 31 dicembre 1995.

Ricalcolo contributivo e importo massimo di pensione 2024

Il taglio della pensione per chi nel 2024 uscisse con quota 103 non deriva solo dal ricalcolo contributivo, ma anche dal limite mensile di pensione, fissato dalla bozza della legge di Bilancio a quattro volte il trattamento minimo dell’Inps.

Ciò significa che il pensionato potrà ottenere un assegno mensile di massimo 2.550 euro (ai valori del 2023), pari a 1.750 euro netti al mese. Il taglio non è definitivo, ma vige fino alla maturazione dei requisiti della pensione di vecchiaia dei 67 anni di età.