È iniziata con la deposizione di Ali Haider, fratello di Saman Abbas, l’udienza del processo per l’omicidio della 18enne di origini pachistane. Appuntamento nella mattinata di oggi, martedì 31 ottobre, presso la Corte di Assise di Reggio Emilia.
Nel corso dell’udienza si è appreso che il fratello di Saman “allo stato non è stato iscritto nel registro degli indagati” della Procura per i minorenni di Bologna.
Dal canto suo il ragazzo, appena maggiorenne, ha annunciato alla Corte la propria volontà di “parlare” e di “dire tutta la verità“. Nel processo sono imputati il padre, la madre, uno zio e due cugini della vittima.
La deposizione del fratello di Saman dietro un doppio paravento
Il giovane ha manifestato la propria intenzione di rispondere alle domande pochi giorni dopo l’ordinanza della Corte d’assise reggiana, che aveva dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni da lui proferite in precedenza. Secondo i giudici, il ragazzo doveva essere iscritto nel registro degli indagati.
Oggi, Ali Haider è entrato in aula prima dei suoi parenti. Vestito con t-shirt nera e pantaloni grigi, è assistito dall’avvocato Valeria Miari. I giudici lo hanno ascoltato dietro ad un doppio paravento: l’obiettivo è impedire ogni condizionamento. Mentre parlava, in aula c’erano anche il padre Shabbar Abbas, i cugini e lo zio Danish Hasnain.
“Ho detto bugie perché mio padre mi disse di farlo”
Le prime domande sono arrivate dall’avvocato Luigi Scarcella, che difende il cugino imputato, Nomanhulaq Nomanhulaq. Argomento principale il telefono utilizzato all’epoca dei fatti, nel periodo tra aprile e maggio 2021.
Nelle precedenti dichiarazioni, ossia quelle ritenute inutilizzabili, il ragazzo accusava i familiari.
Alle domande dell’avvocato del cugino, in riferimento alle sue parole passate, cioè quando affermava che i suoi cugini non c’entravano nulla, il giovane ritratta e dice di aver “detto una bugia“, perché suo padre gli disse di farlo. Pressioni familiari sarebbero pervenute anche dal Pakistan, con l’obiettivo di dissuaderlo dal testimoniare.
Mi ha detto di non dire niente. Io da piccolo avevo paura di mio padre e di mio zio. Quando sono andato dall’altro giudice ho detto che non hanno fatto niente, ero costretto da mio padre. Quando avvenne? Non lo ricordo. Ma prima e dopo mi hanno chiamato e detto di non dire niente dei cugini.
“Mio cugino mi disse che mia sorella era stata seppellita”
Alla richiesta se qualcuno gli avesse detto che Saman era stata seppellita è arrivata la risposta affermativa.
Me l’ha detto mio cugino Noman, gli avevo chiesto io, perché volevo abbracciare mia sorella. Ma l’ho chiesto anche allo zio, prima di partire per Imperia.
Nei giorni successivi alla scomparsa di Saman il giovane partì infatti per la Liguria insieme allo zio, ma venne fermato per un controllo e poi portato in una comunità per minorenni. Lo zio riuscì invece a lasciare l’Italia, ma venne poi rintracciato mesi dopo in Francia.
L’avvocato di Nomanhulaq ha poi domandato ad Ali Haider perché non parlò al pm e ai carabinieri di questo dettaglio. Di seguito la sua risposta.
Non mi dissero di preciso dov’era, solo che era sotto terra. E sempre per la questione di mio papà, avevo paura di lui. Mentre facevano i piani, io stavo sulle scale ad ascoltare, non tutto ma quasi. Ho sentito una volta mio padre che parlava di ‘scavare’.
Interrogato su chi facesse “i piani”, il testimone è chiaro e cita i due cugini, lo zio, il padre e la madre. E Saman dov’era? Anche in questo caso, il ragazzo dice di non ricordare.
In aggiornamento