Era il 20 luglio del 2017 quando Chester Bennington, co-leader della celebre alternative band Linkin Park, si tolse la vita nella sua casa a Palos Verdes Estates, in California. Con la sua morte, il cantante ha lasciato un vuoto incolmabile nel cuore dei fan, dei suoi ex compagni di viaggio e della sua famiglia. Una vita di sacrifici, dolori e dipendenze quella del vocalist, ma ricca anche di grandi soddisfazioni personali e di un successo planetario.

La storia di Bennington non è la storia di un suicidio, ma il racconto di un uomo sensibile che ha deciso di non negare le sofferenze di fronte a sé ma di attraversarle, un grande esempio motivazionale per gli altri, di rivalsa e di speranza. I Linkin Park sono state una delle poche band a trattare senza vergogna e senza stigma argomenti complicati come la violenza sessuale (di cui lo stesso Chester era stato vittima in infanzia), il senso di alienazione, di solitudine e la lotta con i propri demoni interiori.

L’artista nel corso degli anni non ha mai nascosto la sua battaglia con la depressione e negli Stati Uniti, secondo il Mental Health America, il 20,8% degli adulti soffre di problemi mentali, ovvero oltre 50 milioni di americani.

Tag24 ha approfondito la figura di Chester Bennington e la tematiche della salute mentale con Rosanna Costantino, autrice del libro In the End, edito da Gli scrittori della porta accanto.

Come è nato il libro “In the End” sulla vita di Chester Bennington dei Linkin Park

D. Innanzitutto come si è avvicinata alla figura di Chester e ai Linkin Park?

R. Ho iniziato ad ascoltare la band all’inizio del 2000, però mi ricordo che la prima canzone che ho ascoltato è stata One Step Closer. Io venivo da una cultura grunge, una musica ruvida e non attinente al rock classico. Le voci di Cobain, Stanley, mi piacevano moltissimo. Quando ho sentito la voce di Chester, mi ha ricordato quelle voci grunge e successivamente ho scoperto che si rifaceva a quello stile. Ho ravveduto subito una somiglianza, oltre che il timbro di Chester si prestava perfettamente al grunge. Amavo e amo la musica dei Linkin Park perché è molto contemporanea.

D. Come è nata l’idea di scrivere e pubblicare un libro dedicato a Chester Bennington e ai Linkin Park?

R. In The End è nato durante il periodo della pandemia e avevo bisogno di buttare fuori quante più emozioni possibili, innanzitutto legate alla sua morte, perché è stato uno shock per me e per tutti i fan. Avevo bisogno di raccontarlo, scrivere per me stessa ed è diventata una sorta di terapia e una soddisfazione anche sotto il punto di vista giornalistico, perché io nasco come giornalista. Ho cercato di creare un’opera completa sulla loro storia, l’ho presentata al mio editore ed è piaciuta.

Il libro è nato in primis per me, perché tutte le informazioni raccolte non volevo dimenticarle, non volevo perdere le interviste, quelle parole, quelle storie che mi avevano colpito. Sentivo di dover raccontare la sua storia, perché si basa sul non arrendersi, il suicidio non è stata una resa ma una disgrazia. Leggendo il libro ci si può rendere conto di tutte le volte che Chester si è rialzato, ha buttato via le cose tossiche della sua vita. Aveva voglia di vivere, lavorare e cantare per i suoi fan, che erano la sua vita. Io non volevo raccontare una storia triste ma tutte le battaglie che ha combattuto.

Lui più volte ha detto: “Io sono malato, alcolizzato, combatto da una vita ma continuerò ancora. E il suicidio significherebbe cancellare tutti i sacrifici della sua vita e le sue lotte, e nessuno gliele potrà mai togliere“.

D. Ci sono diversi momenti commoventi all’interno del libro, ce ne racconta uno?

R. Nel booklet dell’album Hybrid Theory sono presenti i ringraziamenti di Chester a chi lo ha sostenuto tra cui due suoi amici che lo hanno ospitato sul loro divano. Lo dice anche in un episodio di Linkin Park TV, dove ci sono vari filmati e lì mostra il divano dove ha dormito. Per un periodo ha anche dormito nella sua macchina, ha lasciato casa sua in Arizona ed è corso a fare il provino per entrare nella band. Lui non aveva molti soldi, con un lavoro precario e hanno – i Linkin Park lavorato all’album praticamente con poco e niente.

D. Cosa amava e ama nella figura di Chester?

R. Chester era combattivo e per raggiungere il suo sogno di diventare un cantante ha lasciato un lavoro sicuro, la moglie, uno stato per andare in un altro, ed è da persone coraggiose altro che fragili. Lui offriva il meglio di sé alla band e quando lavorava era sempre atomico. I dolori, le sofferenze, li aveva al di fuori del lavoro, sceso dal palco. In concerto non era in preda ad alcol e droghe, lui non ha mai esaltato il drogarsi o il bere, per lui era una vergogna. Lui l’ha vissuta come una colpa e ha cercato sempre di liberarsi da questo suo limite. Questo combattere lo fa un leader molto forte.

Salute mentale in Italia

D. Come è trattata la tematica della salute mentale in Italia e del suicidio? In America ci sono numerose associazione di prevenzione al suicidio. Qual è la sua opinione in merito?

R. E’ una nota dolente, in Italia viene ancora visto come uno stigma, un peccato, una colpa e una vergogna. Sia per le famiglie che devono sostenere questo dolore, sia per le persone che prendono questa scelta. In Italia c’è ancora reticenza a parlare di argomenti così delicati, ma col tempo mi rendo parlando con i fan dei Linkin Park che c’è una iniziale apertura mentale ma la strada è ancora lunga. Da quando Chester non c’è più ci sono grandi dibattiti su internet, e all’inizio leggevo cose davvero brutte. Persone che dicevano che era un codardo, che aveva lasciato i figli, la moglie. Nessuno pensa che è una malattia che ti distrugge sotto tanti punti di vista, non è una colpa essere malati di cancro, come essere malati di depressione. Non tutti arrivano al suicidio, ma è una componente della depressione.

Il potenziale ritorno dei Linkin Park

D. Cosa ne pensa di un potenziale ritorno dei Linkin Park senza Chester? I fan hanno proposto Oliver Sykes dei Bring Me The Horizon o Jeremy McKinnon degli A Day To Remember.


R. Io vorrei che ritornassero solo loro 5, consapevole che la musica cambierebbe e che tutto sarebbe adattato solo a Mike. Ma questo è il mio auspicio. Rispetto ogni loro decisione, sono 5 artisti molto bravi e mi dispiacerebbe se la loro carriera dovesse finire a 45 anni per un motivo così drammatico. Mike ha ancora tantissimo da raccontare.

Il nuovo singolo del co-fondatore Mike Shinoda, Already Over

D. E cosa ne pensa del suo nuovo singolo Already Over?

R. La vedo molto nelle sue corde, si è spinto un po’ oltre e per una volta ha scritto un testo, una canzone rock, solo per sé stesso, adattata alla sua voce e al suo stile. Dovrebbe prendere un po’ di coraggio in più e tornare con i ragazzi.

D. Infatti mi aspettavo per il nuovo album un Mike Shinoda X Linkin Park.

R. Probabilmente Mike vuole sperimentare prima delle nuove formule, apposta per lui, e successivamente per loro 5, è ancora in una fase di riflessione.

D. Il libro dove verrà pubblicato adesso?

R. Adesso ho avviato un progetto con un traduttore spagnolo e tedesco, le traduzioni sono complesse e ci sono molte note. Da una lingua all’altra è difficile fare tutto in poco tempo. Adesso è stato tradotto in portoghese e brasiliano, ora è venduto in Brasile. Spero di poter portare avanti le traduzioni, bisogna stare attenti anche sui contenuti.