Anche DASH rientra a pieno titolo in una categoria di criptovalute molto controverse, le privacy coin. Il protocollo, infatti, si propone come obiettivo la massima protezione, in termini di riservatezza, di coloro che danno luogo ad una transazione. Una missione del resto fedele all’impostazione iniziale di Bitcoin, cui si richiama sin dagli inizi.
Il suo tendere all’anonimato, però, ne fa una sorta di nemico pubblico per le autorità monetarie e le agenzie preposte alla lotta contro evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco. Un fastidio che lo accomuna a Monero, inducendo non solo l’opinione pubblica, ma anche gli investitori, a porsi molte domande sull’effettiva utilità di puntare sul prezzo del token per spuntare rendimenti soddisfacenti.
DASH: cos’è e cosa si propone
DASH è una cripovaluta basata su codice open source, creata nel preciso intento di dare vita a transazioni più rapide e convenienti rispetto a quelle offerte da Bitcoin. A renderlo possibile è un tempo medio di blocco che si attesta a circa 2,5 minuti, contro i 10 necessari per la creazione di Satoshi Nakamoto.
Per quanto riguarda la sua tokenomics, l’offerta massima di gettoni è pari a 18 milioni e il mining avviene con il meccanismo di consenso Proof-of-Work. Una differenza con quello dell’icona crypto è rappresentata però dalla ricompensa spettante a chi aggiunge blocchi alla catena, che nel caso di DASH è del 45% per ogni blocco, contro il 100% di BTC.
Sin qui, siamo però al primo livello di DASH. Nel secondo, invece, troviamo una delle basi fondamentali su cui si regge l’intero sistema, ovvero i MasterNode. Per diventare uno di essi, occorre detenere perlomeno mille DASH. Chi fa parte di questa categoria può facilitare le transazioni, decidere se un blocco è stato aggiunto correttamente, conservare una copia del registro completo della blockchain, ricevere le ricompense e prendere decisioni riguardanti l’allocazione del 10% di quella del blocco.
DASH: l’accento sulla privacy
Come abbiamo ricordato in avvio, DASH si propone di tutelare al massimo la riservatezza dei due lati di una transazione. Una caratteristica che pone questa criptovaluta di diritto nella categoria dei privacy coin, sulle orme di Monero, Zcash e altri progetti espressamente dedicati a questa esigenza.
A dimostrare l’assunto è il fatto che nato come Xcoin nel 2014, nello stesso anno ha mutato la sua denominazione in DarkCoin. Un mutamento che è stato da molti interpretato come un espresso richiamo alla parte di Internet in cui avvengono i traffici di esseri umani, stupefacenti e armi, detta appunto Dark Web.
Proprio questa peculiarità, però, rischia di ritorcersi contro l’azienda. Il nome di DASH, infatti, ricorre ogni qual volta viene pubblicato un rapporto sulle attività del Dark Web. È cioè considerato uno strumento ideale per l’economia criminale. Se anche Bitcoin è stato a lungo indicato in tale veste, ciò non toglie che questa controversa fama rischi di tradursi in un danno.
Molti exchange centralizzati, infatti, hanno deciso da tempo di non dare spazio alle privacy coin all’interno delle proprie contrattazioni. DASH, di conseguenza viene scambiato meno di quanto meritino le sue caratteristiche tecniche. Un dato da tenere in conto, prima di investirci denaro.
Le prospettive per il futuro
Proprio alla luce della controversa nomea di DASH, è complicato riuscire a capire come potrebbe evolvere il suo prezzo nel futuro. Da un lato il progetto potrebbe avvantaggiarsi di una situazione del mercato che sembra in fase di ristabilimento. Dall’altro, invece, potrebbe mancare l’appuntamento con la ripresa proprio per i timori generati dalla vera e propria caccia alle privacy coin che è stata inaugurata da alcune agenzie, in particolare quelle statunitensi.
Una caccia che potrebbe spingersi anche al definitivo bando di tutte le criptovalute che si propongono di proteggere la riservatezza delle transazioni. Se i risultati pratici di un bando simile sono da ritenere molto aleatori, resta comunque il fatto che una decisione simile comporterebbe un danno d’immagine molto rilevante. Ecco perché occorre procedere coi piedi di piombo prima di optare per DASH.