Nel 1985 era stato sottoposto a delle trasfusioni con sangue infetto: trent’anni dopo è morto proprio a causa del percorso degenerativo della malattia. Per quanto accaduto a un cittadino romano lo Stato è stato condannato a pagare 670mila euro agli eredi dal Tribunale di Roma. Di questo importo, 268mila euro sono stati riconosciuti ai nipoti dell’uomo, considerando il tipo di rapporto che avevano con il nonno.
A commentare il caso e la sentenza con TAG24 l’avvocato Maurizio Albachiara, legale della famiglia della vittima.
Morto per trasfusione di sangue infetto, Stato condannato: la vicenda
Nel 1985 il paziente, nato nel 1936, si era recato in ospedale a Bracciano per un intervento chirurgico: era ricoverato per una lussazione al dito di una mano. Durante la degenza fu sottoposto a delle trasfusioni: quattro sacche di sangue. Il risultato fu un’infezione da HCV epatite virale di tipo C, che nel 2015 lo ha portato alla morte. Infatti, dal 1990 -ossia da quando gli era stata diagnosticata l’epatite C presso lo Spallanzani di Roma- fino alla giorno del decesso, l’uomo ha dovuto affrontare diversi problemi di salute.
“Dal 1990 è iniziata questa lunga trafila di terapie. Poi c’è stato l’aggravamento della condizione epatica: dall’epatite il paziente è passato alla cirrosi. Prima della morte, avvenuta al Fatebenefratelli di Roma, ha ricevuto la diagnosi di epatocarcinoma, con metastasi. Venticinque anni con la malattia” sottolinea l’avvocato Maurizio Albachiara, il legale a cui si sono rivolti la moglie, il figlio in vita e i nipoti dopo il decesso dell’uomo tramite il Tribunale per i diritti del malato. I nipoti hanno agito anche come eredi del figlio dell’uomo (morto successivamente al padre).
La sentenza del Tribunale di Roma
Il giudice del Tribunale di Roma ha accertato il nesso eziologico tra emotrasfusione, patologia e decesso, in mancanza anche di elementi che potessero dimostrare controlli sui donatori. Nella sentenza del 23 ottobre 2023 è stata riconosciuta la responsabilità del Ministero per non aver vigilato e controllato il sangue usato per le trasfusioni. Oltre che per non aver verificato che non fossero presenti alterazioni delle transaminasi.
Il Ministero dovrà quindi risarcire moglie e figlio del paziente della somma di 400mila euro, oltre agli interessi, per il danno da perdita parentale. Altri 268mila verranno versati a favore dei 2 nipoti della vittima.
“Come nipoti hanno avuto un risarcimento corposo: a ognuno di loro sono stati riconosciuti 134mila euro. Vivevano in un appartamento al piano superiore rispetto a dove abitava il nonno: è emerso che c’era un legame molto forte tra loro” sottolinea l’avvocato Albachiara. “Di solito ai nipoti viene riconosciuta una somma che oscilla tra i 40mila e i 60mila euro. In questo caso è più alta, proprio per il rapporto e la vicinanza che c’era tra loro“.
Ora, precisa il legale, bisogna sperare che il Ministero non faccia appello. “Sarà necessaria un’azione esecutiva, pignorando le somme al Ministero. Oppure chiedere al Tar di competenza la nomina di un commissario che si occupi di reperire i soldi.“
L’avvocato Albachiara: “Non è il primo caso e non sarà l’ultimo”
L’avvocato Maurizio Albachiara si è occupato anche di altri casi simili: danni medici ma soprattutto per emotrasfusioni infette. “Questa è una vicenda che rientra nel cosiddetto ‘scandalo del sangue infetto’, casi documentati dagli anni Settanta fino al 1992. Migliaia di persone che, all’epoca, venivano sottoposte a trasfusioni con sacche di sangue non controllato e potevano così ammalarsi di epatite o AIDS“. racconta. “Non è il primo caso e purtroppo non sarà l’ultimo. Il paradosso è che, dopo aver contratto l’epatite, una percentuale abbastanza alta di questi pazienti, a causa di complicanze varie, poi muore. Quindi oltre al danno, la beffa. Devi combattere contro una malattia che poi ti porta alla morte“.
La legge 210/1192, nata in seguito a questo scandalo, si rivolge a circa 30mila persone in tutta Italia: tutti casi di trasfusione con sangue infetto.
La vicenda dello scandalo del sangue infetto che ha coinvolto migliaia di cittadini italiani è sempre stata a noi molto cara. Continueremo come associazione a tutelare in ogni sede i diritti delle persone coinvolte, soprattutto per ottenere, in sede legislativa la riforma della legge 210/92 che esclude migliaia di cittadini dall’ottenimento dell’indennizzo
ha dichiarato Lorenzo Latella, segretario regionale di Cittadinanzattiva Campania.