Nella rubrica “Non solo trentatré”, curata dai Prof. Claudio Loffreda-Mancinelli ed Enrico Ferri, oggi diamo spazio all’interessante riflessione del Prof. Massimo Carlini, Presidente della Società Italiana di Chirurgia, in risposta al precedente articolo “Le specializzazioni in ambito chirurgico: Italia e Stati Uniti, un confronto impari“.
Massimo Carlini, Past President dell’American College of Surgeons – Italy Chapter Vice Presidente Vicario dell’Accademia Romana di Chirurgia Consigliere della Società Romana di Chirurgia Docente e Coordinatore Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale Università “Sapienza” – Roma Abilitato dal Ministero dell’Università e Ricerca a Professore Universitario di Prima Fascia di Chirurgia Generale Docente delle Scuole di Riferimento Nazionale della Società Italiana di Chirurgia Primario Chirurgo e Direttore del Dipartimento di Chirurgia dell’Ospedale S. Eugenio
Specializzazioni in area chirurgica, la lettera del Presidente della SIC
Ho avuto modo di leggere il bell’articolo sulle differenze che ci sono tra le Scuole di Specializzazione in Chirurgia in Italia e negli USA, pubblicato su Tag24. Grazie per avermelo inviato.
Devo dire che è un bel documento, estremamente utile, che esamina i molti aspetti delle due diverse formazioni e fornisce elementi che non sono noti a tutti.Anche io ho appreso dati e cose che non sapevo così in dettaglio sulla formazione negli USA.
È esaustivo, molto ben espresso e fotografa la situazione com’è realmente e pertanto ritengo che non necessita di alcun commento. Posso solo fare alcune riflessioni e considerazioni.
La formazione del chirurgo
Le molte diversità tra gli USA e il nostro Paese sono sostanziali e non marginali e riguardano ogni professione, in particolare quella di Chirurgo. Queste appaiono particolarmente evidenti proprio in ambito formativo, dove la differenza incolmabile tra il modo di creare i nuovi chirurghi degli USA rispetto all’Italia è stata determinata dalle grandi risorse economiche, attualità dei princìpi, migliore organizzazione, maggiore disponibilità di risorse tecnologiche e umane, modernità delle strutture, diverso atteggiamento mentale dei chirurghi, ma anche dal fatto che gli USA hanno una storia recente e hanno subito molto meno il condizionamento umanistico nelle discipline scientifiche. Cosa che ha invece influenzato molto il nostro Paese e ha fatto sentire i suoi effetti fino al secolo scorso, nel bene e nel male.
In Italia fino a metà degli anni ’90 (trenta anni fa…) quasi non si parlava di Formazione del Chirurgo. Le Scuole di Specializzazione in Chirurgia Generale di allora, che oggi sono 41, avevano come obiettivo principale di fornire una cultura teorica della disciplina. E va detto che questa era eccellente. Ma moltissimi specializzandi di quel periodo, nei 5 anni di corso, nemmeno entravano in sala operatoria. Se lo facevano era per osservare, certo non per operare. Se andavano al tavolo operatorio era per fare da terzo o da quarto (primo o secondo assistente) all’intervento. Pochi erano gli specializzandi che facevano da aiuto e pochissimi quelli che eseguivano in prima persona un intervento.
La conoscenza di come eseguire un intervento avveniva da specializzando mediante spiegazioni teoriche. Successivamente, da specialista e giovane assistente, prima osservando e solo poi, operando.
All’epoca gli specialisti che lasciavano l’Università per entrare negli Ospedali, imparavano di fatto a operare lì, sul campo, osservando possibilmente un bravo Primario e aiutando i suoi Aiuti. Questo ambiente costituiva quella Scuola Ospedaliera di Chirurgia, gemmata dalle Università, che ha formato schiere di bravi chirurghi in tutto il Paese, dal nord al sud. In questi ambiti a poco a poco si apprendevano i gesti, le tecniche e i trucchi del mestiere e quelli più dotati, che “avevano la mano”, imparavano più in fretta degli altri, crescevano, operavano casi sempre più complessi e si affermavano come ottimi professionisti e a volte proseguivano la direzione della Scuola dalla quale provenivano.
Gli specialisti che restavano all’Università, venivano “Selezionati” dai Maestri e facevano carriera o meno, imparando a operare o meno, sulla base di un’ampia serie di ragioni e motivazioni, più o meno condivisibili. I prescelti, i predestinati, i più bravi, i più dotati, i più favoriti, i più fortunati, i più appassionati, i più resistenti, i più colti, crescevano, arrivavano all’apice e prendevano il posto di chi giungeva a fine carriera.
Il sistema perpetuava e garantiva se stesso mantenendo comunque alto il livello dei Chirurghi, sia nelle Università che negli Ospedali. Fino alla metà degli anni ’90 circa in Italia è stato così ovunque.
Dal 2000 a oggi
Con la fine della creazione, controllo e gestione del chirurgo da parte dei Maestri, questo mondo è scomparso. Si è iniziato a regolamentare la Formazione del Chirurgo con una serie di Decreti Ministeriali e Legislativi, di Direttive Nazionali ed Europee e molto altro. Queste hanno necessariamente introdotto normative che, nel riordino della materia, hanno compreso anche aspetti contrattuali. Dal 1999 lo specializzando è pagato e la sua formazione è considerata, giustamente, anche un lavoro. Ciò comporta che oggi il chirurgo in formazione ha precisi doveri e altrettanto precisi diritti e ha obiettivi di raggiungimento di alcuni standard chirurgici, che sono ben descritti nell’articolo.
Entrando nel merito, può essere senz’altro condivisibile che in Italia il numero degli interventi che lo specializzando deve eseguire nei cinque anni è troppo basso, ma non deve essere dimenticato che la soglia al di sopra della quale si consegue autonomia chirurgica, varia da caso a caso. Vi sono soggetti particolarmente dotati e adatti alla chirurgia che apprendono e sviluppano una buona tecnica chirurgica in poco tempo e con pochi casi e altri che nonostante eseguano molte procedure non arrivano nemmeno dopo molto tempo alla “proficiency zone”. Il concetto è molto ben esplicitato nel seguente grafico elaborato dal Prof. Sir Alfred Cuschieri.
A. In blu i soggetti più adatti a fare il chirurgo, quelli che diventano eccellenti operatori;
B. In verde quelli che apprendono comunque bene dopo un maggior numero di casi;
C. In marrone quelli che non arrivano a un buon livello nemmeno dopo un gran numero di interventi.
Oggi il numero degli specializzandi che appartengono al tipo C del grafico è tutt’altro che trascurabile. Ciò avviene perché manca una selezione a monte, che dovrebbe essere operata nell’ultimo o negli ultimi due anni del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, ricercando negli studenti i segni di quella attitudine che invariabilmente possiede e manifesta chi è “portato” per la Chirurgia.
E non è la tecnologia che può andare in soccorso di chi non possiede quella propensione e attitudine a svolgere il nostro mestiere. Anche la tecnologia richiede abilità per essere utilizzata. L’avvento della laparoscopia e della robotica, con la magnificazione e la disponibilità a chiunque delle immagini, ha consentito di favorire il processo di formazione, ma non lo ha reso possibile a tutti. I vecchi maestri dicevano che Chirurghi si nasce. Ciò non è vero, o almeno non del tutto, ma è senz’altro vero che è molto difficile fare di un soggetto poco adatto un ottimo chirurgo.Inoltre, oggi troppo spesso non si fa il chirurgo perché “si vuole” farlo. Lo si fa perché “ci si trova” a farlo. Nell’impersonale meccanismo di assegnazione delle borse di studio per la specializzazione non si valuta affatto se il candidato abbia o meno la necessaria attitudine. Fare il chirurgo non è come fare il dermatologo, o il pediatra, o l’internista.
Per queste discipline occorrono differenti qualità, attitudini e personalità. La Chirurgia oltre a essere una Scienza è anche arte e artigianato e per praticarla occorrono una quasi innata inclinazione, predisposizione e manualità. Inoltre la Chirurgia richiede sacrificio e grande passione che trascendono le, seppur giuste, preoccupazioni di ore lavorate, di riposo, di turni, ecc.
Insomma, è importante porre l’accento sul numero di ore da lavorare e sul numero di interventi da eseguire, ma questi aspetti, seppur corretti, da soli non bastano a formare un buon Chirurgo. Va ritrovata la forma “umanistica” della Scuola. Quella della appartenenza costante, quotidiana, appassionata, incondizionata e, seppure faticosa, meravigliosa appartenenza a una Scuola Chirurgica. Questo aspetto della Formazione è insostituibile e deve essere recuperato e inserito nel periodo di formazione dei futuri chirurghi. L’impersonale susseguirsi negli anni del rispetto delle giuste ore lavorate, del giusto numero di procedure chirurgiche eseguite, come da normative, leggi, decreti, direttive, ecc., non basta a fare un buon chirurgo.
Perché i giovani si allontanano dalla chirurgia?
Oggi la categoria dei chirurghi è ai minimi storici in termini di valore sociale. Una società, sia consentito, malata come la nostra, che pone sui gradini più alti figure effimere e di dubbio valore come influencers, youtubers, tronisti, veline, “cantanti”, aspiranti chef (perché non semplicemente cuochi…?) e molto altro e che sta letteralmente demolendo la straordinaria immagine di due figure indispensabili alla vita civile: il maestro e il dottore, contribuisce alle ragioni della disaffezione e dell’abbandono dei giovani nei confronti del Mestiere di Chirurgo e della loro partecipazione senza un coinvolgimento profondo al percorso della loro formazione.
Accanto a questo aspetto principale vi sono altre ragioni che stanno sempre più allontanando i giovani dalla chirurgia o non gliela fanno vivere con la necessaria passione, come le surreali e non più tollerabili aggressioni legali, medico-legali, risarcitorie civili e addirittura penali; l’inaccettabile trattamento economico; la costante negazione del valore scientifico del chirurgo e della sua grande e complessa cultura che vengono conseguite in decenni di faticosissimi studi e la sostituzione di questo valore con quello di una sottocultura pericolosissima e avvilente.
Per far crescere nuovi bravi chirurghi non basta un necessario e giusto miglioramento degli aspetti tecnici e tecnicistici della regolamentazione del sistema formativo, ma occorre recuperare anche quelle modalità proprie del passato e che oggi abbiamo completamente perso. E che funzionavano! Altrimenti come si spiegherebbe che senza regolamentazione delle ore da lavorare, dei turni di riposo, del numero e tipologia degli interventi da eseguire e di quanto altro in discussione oggi, si siano formati quei tanti bravi chirurghi che oggi hanno tra i 50 e i 60 anni e che costituiscono la ragione del riconoscimento internazionale alla indiscussa grande bravura dei Chirurghi Italiani?
Dobbiamo senz’altro migliorare gli aspetti normativi della Formazione, ma selezioniamo gli specializzandi che hanno la necessaria attitudine a fare il chirurgo prima dell’ingresso in specialità e facciamoli partecipare assiduamente e costantemente alla vita di una buona Scuola, Universitaria o Ospedaliera che sia. E chiediamo alla società civile di tornare a riconoscere, incentivandolo e supportandolo, il valore del chirurgo. Non posso accettare che venga considerato più importante Fedez che l’eccellente Chirurgo lo ha operato al pancreas! E poniamo la parola fine agli infiniti ostacoli alla professione di Chirurgo, alle disincentivazioni, alle aggressioni morali e fisiche, a quelle giuridiche civili e penali, che da troppo tempo avvengono nel nostro meraviglioso Paese.
Massimo Carlini
Presidente della Società Italiana di Chirurgia