La Procura di Reggio Emilia ha aperto un fascicolo d’inchiesta per fare luce sulle pressioni che il fratello di Saman Abbas avrebbe ricevuto dal Pakistan per non testimoniare: si tratta di messaggi scritti e inviati dalla madre Nazia, ancora ricercata, con gli smartphone di conoscenti. Messaggi in cui al ragazzo, da poco maggiorenne, verrebbe chiesto di recarsi all’estero e di non dire “falsità sulla famiglia”.
Omicidio Saman Abbas, pressioni sul fratello: in settimana la testimonianza chiave in aula
Era stato lui a puntare il dito contro i suoi familiari, dopo il ritrovamento del corpo di Saman in una buca scavata nei pressi di un casolare di campagna a Novellara, in provincia di Reggio Emilia. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, la 18enne ci sarebbe finita dopo essere stata strozzata. Il movente? Si era rifiutata di sposare l’uomo che era stato scelto per lei: un cugino pakistano che, in cambio del matrimonio, avrebbe offerto alla famiglia Abbas una somma di circa 15mila euro, come è stato appurato in seguito.
Venerdì 27 ottobre il giovane, da poco maggiorenne, dovrà testimoniare in aula. Da tempo si trova in una comunità protetta e negli scorsi giorni avrebbe ricevuto, dal Pakistan, forti pressioni. Sarebbe stata la madre Nazia, ancora ricercata, a scrivergli, attraverso un intermediario. Gli avrebbe chiesto di tornare da lei e di non dire falsità sulla sua famiglia. In cinque sono imputati per l’omicidio: oltre alla donna, il marito Shabbar – da poco estradato in Italia -, lo zio e i due cugini di Saman.
L’intenzione del 18enne è fare luce sull’accaduto.
O mi uccido o mando tutti in carcere a vita, non dico falsità,
ha risposto a chi gli ha chiesto di non testimoniare. Di recente era emerso che il padre avrebbe più volte tentato di indirizzare le sue dichiarazioni, chiedendogli di addossare la colpa a un altro parente, uno diverso da quelli finiti a processo. Gli inquirenti sono convinti che l’esecutore materiale del delitto si nasconda tra loro: sospettano, in particolare, di Danish Hasnain, colui che, nel novembre 2022, permise il ritrovamento del cadavere.
Le intercettazioni telefoniche
Oggi in aula saranno ascoltati i periti che si sono occupati delle intercettazioni finite agli atti delle indagini. In una di queste, risalente al 18 giugno 2021, il fratello di Saman – che in mattinata era stato sentito in incidente probatorio – si confrontava con il padre Shabbar su quanto aveva riferito. L’uomo, infastidito, gli diceva che avrebbe dovuto fare solo il suo nome e non quello dello zio e dei cugini.
Allora Shabbar si trovava ancora in Pakistan: dopo mesi di tentativi, è stato estradato. In aula ha dichiarato di non sapere chi abbia ucciso sua figlia. In passato si era però rivolto contro il ragazzo che Saman frequentava ai tempi dell’omicidio, Saqib Ayub, pakistano, sostenendo che fosse stato lui a sequestrarla e ad ucciderla: non aveva mai approvato la loro relazione.
Insieme al giovane la 18enne era fuggita di casa. Poi la madre Nazia l’aveva convinta a tornare, con la promessa che avrebbero accettato le sue decisioni. Avevano già in mente un piano: l’avrebbero uccisa e poi buttata in una fossa scavata in almeno sei momenti diversi dai familiari. Resta da capire chi abbia fatto cosa, ma è certo che tutti e cinque siano coinvolti.
A confermarlo erano stati anche due detenuti, compagni di cella di Danish. Ne parlavamo approfonditamente in questo articolo dello scorso settembre: Omicidio Saman Abbas, le nuove rivelazioni di due detenuti: “Lo zio Danish le spezzò il collo, ma al delitto parteciparono tutti e 5 i familiari”.