La pulizia etnica è un termine spesso evocato in contesti politici e storici, ma per comprendere appieno il suo significato, è essenziale analizzare la sua definizione. La Treccani, ad esempio, la definisce come un programma mirato all’eliminazione delle minoranze, attraverso il loro allontanamento forzato o mediante atti di aggressione militare. Lo scopo principale è proteggere l’identità di un particolare gruppo etnico. Questa terminologia è stata particolarmente evidente durante la guerra civile nell’ex Jugoslavia.

Pulizia etnica e genocidio: differenze

Mentre pulizia etnica e genocidio vengono spesso utilizzati in modo intercambiabile, presentano differenze significative. Il genocidio, infatti, implica l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un determinato gruppo. D’altro canto, la pulizia etnica può variare in livelli gravità, dal costringere un gruppo a lasciare una determinata zona alla sua completa eliminazione. Potremmo quindi inglobare il termine “pulizia etnica” in una definizione molto più ampia di genocidio, che invece è mirata a uno scopo soltanto, anche se l’obiettivo finale sembra essere lo stesso.

A livello giuridico, la distinzione tra pulizia etnica e genocidio è fondamentale. Mentre la pulizia etnica può essere categorizzata come un crimine contro l’umanità, il genocidio è riconosciuto come una violazione delle norme di jus cogens. Questo significa che ogni stato può perseguire legalmente chi compie un genocidio, indipendentemente da dove è stato commesso il crimine.

L’evoluzione del termine pulizia etnica nella storia contemporanea

Il termine è diventato parte del discorso internazionale nel 1992, quando la Commissione dei diritti umani e la sotto-Commissione per la prevenzione delle discriminazioni condannarono politiche che miravano a creare aree etnicamente omogenee nella ex Jugoslavia. Queste azioni vennero viste come tentativi di forzare persone o gruppi a lasciare una zona mediante l’uso della forza.

Il caso della Palestina

Recentemente, il termine pulizia etnica è stato evocato nel contesto del conflitto israelo-palestinese. A seguito di attacchi e conflitti, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, ha espresso preoccupazione riguardo a un possibile rischio di pulizia etnica nei Territori palestinesi occupati dal 1967. Tuttavia, le accuse sono state respinte da Israele, che ha evidenziato il suo diritto di difendersi.

Il caso storico della pulizia etnica: la ex Jugoslavia

La Jugoslavia, in origine, era una federazione che raggruppava sei repubbliche distintamente identificate: Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia. Inoltre, all’interno della Serbia, c’erano due regioni che godettero di una particolare autonomia: il Kosovo e la Vojvodina.

La morte del leader Tito nel 1980 segnò l’inizio di una serie di tensioni politiche. Queste crescenti tensioni culminarono in scontri violenti tra le repubbliche che formavano la federazione. La pulizia etnica divenne una strategia di guerra, con obiettivi mirati a eliminare gruppi etnici rivali.

La situazione in Bosnia è particolarmente degna di nota. Fino al 1994, le indagini rilevarono la presenza di numerose fosse comuni e campi di prigionia.

Il Tribunale internazionale per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia portò all’incriminazione di numerose personalità, compresi leader come Radovan Karadzic e Slobodan Milosevic.

Il cammino verso la guerra ebbe inizio quando Slovenia e Croazia dichiararono la loro indipendenza all’inizio degli anni ’90, spezzando l’equilibrio preesistente tra le diverse etnie della regione. Ciò condusse a una serie di conflitti, suddivisi in fasi, culminanti con la guerra in Kosovo alla fine degli anni ’90.

Le complessità del conflitto in Israele

Recentemente, l’escalation della violenza tra Israele e Hamas ha suscitato preoccupazioni a livello internazionale. Il bombardamento e l’assedio di Gaza hanno portato alla morte di migliaia di civili. Questa situazione è stata paragonata a eventi storici come il bombardamento di Guernica durante la seconda guerra mondiale.

Mentre le tensioni tra i due gruppi non sono nuove, gli attuali livelli di violenza sono senza precedenti. Israele ha affrontato condanne internazionali per la sua mancata osservanza delle risoluzioni dell’ONU, ma anche Hamas ha subito critiche per la sua tattica di usare civili come scudi umani.

La questione tra Palestina e Israele va oltre la semplice lotta territoriale. Con oltre 70 anni di tensioni, la situazione è radicata in problemi storici, religiosi e geopolitici. Entrambe le parti hanno subito violenze e oppressione e, come in tutte le guerre, non esiste una soluzione semplice, anche alla luce del mancato rispetto delle Risoluzioni ONU intervenute nel corso degli anni (e dei conflitti).