Secondo i giudici della Corte di Cassazione, M’hamed Chamekh non premeditò l’omicidio dell’ex compagna Atika Gharib, consumatosi nel settembre 2019 a Castello d’Argile, in provincia di Bologna: il processo d’Appello è quindi da rifare. È ciò che aveva chiesto la difesa impugnando la sentenza con cui l’uomo era stato condannato all’ergastolo, ora annullata.
Omicidio Atika Gharib: verso un nuovo processo d’Appello
Sia in primo che in secondo grado il 43enne era stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione. Per la Corte di Cassazione, però, la seconda circostanza aggravante sarebbe insussistente. Nel corso del nuovo processo d’Appello che si terrà a suo carico, Chamekh potrebbe quindi accedere al rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena.
A spiegarlo al Corriere della Sera è il legale che lo difende, l’avvocato Carlo Machirelli, che aveva impugnato la sentenza con cui l’uomo era stato condannato all’ergastolo, ora annullata.
La pronuncia della Suprema Corte accoglie uno dei motivi su cui questa difesa si era maggiormente concentrata sin dal primo grado di giudizio: l’assoluta incompatibilità dell’aggravante della premeditazione con il comportamento delle parti, lo stato dei luoghi, i tabulati telefonici e la grave conclamata patologia psichiatrica del signor Chamekh. Auspico quindi che […] possa aprirsi un nuovo scenario in punto di quantificazione della pena,
ha spiegato.
La ricostruzione del delitto
I fatti risalgono al 2019. Dopo aver attirato l’ex compagna Atika Gharib in una trappola, Chamekh la strangolò e la bruciò in un casolare di campagna abbandonato a Castello d’Argile, tentando di fuggire in Francia. Fu rintracciato al confine, in procinto di lasciare l’Italia: si scoprì che la donna, 32 anni, lo aveva cacciato di casa e denunciato dopo aver scoperto delle molestie sulla figlia di 14 anni.
Su di lui pendeva un divieto di avvicinamento, mai notificato perché – al tempo – l’uomo era irreperibile. Riuscì a non essere arrestato perché non fu mai colto in flagrante: solo una volta i carabinieri lo beccarono sotto casa dell’ex, ma il documento che avrebbe dovuto vietarglielo non era ancora stato firmato da chi di dovere.
Qualche settimana prima dell’omicidio avrebbe minacciato Atika di sottrarle i suoi documenti e alcune effetti personali. Secondo gli investigatori che lavorarono al caso, quando le dette appuntamento a settembre, le promise di restituirle qualcosa che le aveva rubato: per questo la convinse ad incontrarlo. Lei sperava, forse, di mettere fine a quella storia.
Non poteva sapere che quel giorno sarebbe stata uccisa dall’uomo che un tempo aveva amato. Oggi il 43enne si trova nel reparto psichiatrico del carcere di Reggio Emilia: nonostante sia stato giudicato capace di intendere e di volere (perché avrebbe compiuto l’omicidio con lucidità e consapevolezza), sarebbe affetto da un grave disturbo schizofrenico.
I giudici di primo e secondo grado dissero che agì per affermare il “possesso virile sulla donna” che aveva perso. Con il nuovo processo – e la caduta della premeditazione – potrebbe ottenere un considerevole sconto di pena.
Il femminicidio di Cerreto d’Esi
La storia di Atika ricorda molto quella di Concetta Marruocco, uccisa con almeno 39 coltellate dall’ex marito Franco Panariello, 55 anni, già denunciato per maltrattamenti in famiglia e soggetto a divieto di avvicinamento. I fatti risalgono a qualche giorno fa: l’uomo, agli arresti domiciliari, si era introfulato nella casa in cui la donna viveva insieme ai figli e l’aveva colpita con forza, ripetutamente. Un alert avrebbe dovuto avvisarla nel caso in cui si fosse trovato a circa 200 metri da lei: per qualche motivo avrebbe suonato quando era già in casa, impedendole di mettersi in salvo.