Israele ha la bomba atomica? E’ quello che si chiedono in molti in questo periodo in cui lo Stato ebraico sta intensificando i bombardamenti su Gaza e, nell’ambito delle analisi geopolitiche sui media, si torna a parlare di terza guerra mondiale.
Israele ha la bomba atomica?
Il governo israeliano non ha mai dichiarato ufficialmente la detenzione di armi atomiche, seguendo invece una politica di “ambiguità deliberata”. Secondo fonti non confermate ufficialmente, si ritiene che Israele possieda tra 100 e 200 testate nucleari. Si suppone che il paese abbia la capacità di lanciarle tramite vari mezzi, tra cui aerei, sottomarini e missili. In virtù di questa possibile dotazione, Israele sarebbe incluso nel gruppo di nazioni con armi nucleari, noto come il “club atomico”. Questo club include la Russia (con circa 5900 testate), gli Stati Uniti (circa 5200), la Cina (circa 450, con piani di espansione fino a 1000 negli anni a venire), la Francia (circa 290), il Regno Unito (circa 225), il Pakistan (circa 170), l’India (circa 165) e la Corea del Nord (circa 30).
Israele, consapevole della sua posizione come una piccola democrazia con una popolazione di pochi milioni di abitanti e circondata da circa 200 milioni di arabi sparsi tra vari Paesi, molti dei quali inizialmente ostili alla sua esistenza, ha intrapreso sforzi per ottenere armi nucleari poco dopo la sua fondazione nel 1948, in concomitanza con la guerra d’indipendenza.
Questo progetto è stato supervisionato da Shimon Peres, una figura di spicco che avrebbe successivamente ricoperto incarichi come ministro degli Esteri, vincitore del Premio Nobel per la pace, primo ministro e presidente di Israele. In quel periodo, Peres era direttore generale del ministero della Difesa israeliano e uno dei principali collaboratori di David Ben Gurion, il primo primo ministro di Israele.
Il supporto della Francia
Il piano per acquisire armi nucleari è stato sviluppato in due direzioni segrete.
- La prima consisteva nello sviluppo di una centrale nucleare situata a Dimona, un sito che fungeva da base sia civile che militare nel deserto del Negev. In questo luogo lavoravano alcuni dei migliori scienziati e tecnici ebrei, lavorando alla creazione di un’arma nucleare.
- La seconda direzione coinvolgeva la cooperazione con la Francia, che si era dichiarata disposta ad aiutare Israele a sviluppare la tecnologia e le risorse necessarie per realizzare un’arma atomica.
L’ex presidente francese Guy Mollet, che era al potere durante quel periodo, avrebbe affermato in privato: “Dobbiamo la bomba a Israele per il debito che abbiamo nei loro confronti”. Questo commento faceva riferimento al fatto che la Francia si sentiva in debito nei confronti di Israele a causa della “crisi di Suez” del 1956, quando Francia e Regno Unito avevano incoraggiato Israele a occupare la zona del canale di Suez ma poi si erano ritirati sotto pressione degli Stati Uniti, che temevano un conflitto con l’Unione Sovietica.
Successivamente, il presidente francese Charles De Gaulle minacciò di interrompere la cooperazione nucleare con Israele nel 1958, ma Shimon Peres riuscì a mantenere questa collaborazione grazie a una missione diplomatica a Parigi. Nel complesso, questi sforzi avevano l’obiettivo di garantire la sicurezza di Israele e prevenirne un’eventuale vulnerabilità, oltre a consentire al paese di affrontare le molte minacce che doveva affrontare nella regione del Medio Oriente.
Il primo test nucleare
Il primo test nucleare di Israele ebbe successo nel deserto del Negev nel 1963. Prima dell’inizio della guerra dei Sei Giorni nel 1967, Israele aveva già a disposizione due bombe atomiche. Nel 1973, durante la guerra del Kippur quando Egitto e Siria invasero Israele, catturando l’iniziativa nei primi tre giorni di combattimenti, il numero di bombe nucleari a disposizione di Israele era aumentato a una dozzina. In quel momento di difficoltà, un generale israeliano aveva ricordato alla premier Golda Meir l’esistenza delle armi atomiche, ma questa aveva risposto prontamente: “Lascia perdere.” Ciò avvenne per almeno due ragioni.
La prima era che il conflitto si stava svolgendo principalmente nelle alture del Golan e nella penisola del Sinai, entrambe acquisite da Israele durante la guerra dei Sei Giorni, al di fuori dei confini israeliani propriamente detti. Sebbene vi fosse una reale preoccupazione di perdere territori, il conflitto non aveva ancora minacciato l’esistenza stessa dello Stato di Israele. Dall’altro lato, dopo il quarto giorno, l’offensiva israeliana ottenne successo, Israele prevalse nella guerra del Kippur del 1973 e la minaccia divenne meno pressante.
Tuttavia, la superiorità militare di Israele nella regione arabica, in termini di armi convenzionali, divenne così evidente che il ricorso a armi nucleari per l’autodifesa non sembrava più necessario. Ma, successivamente, la rivoluzione khomeinista del 1979 in Iran portò a una nuova minaccia regionale: l’Iran. La dottrina nucleare israeliana si basa su alcuni concetti chiave, oltre alla politica di “deliberata ambiguità”.
- Il primo concetto riguarda l’affermazione che Israele “non sarà il primo a introdurre armi nucleari in Medio Oriente”. In altre parole, Israele le considera solo come un ultimo ricorso, una forma di dissuasione: chiunque pensi di poter distruggere Israele deve comprendere che in tal caso verrebbe a sua volta distrutto da un contrattacco nucleare. Questo concetto è basato su sottomarini, che consentirebbero a Israele di effettuare una rappresaglia anche se la sua intera superficie terrestre venisse distrutta da un attacco nemico.
- Il secondo concetto si riferisce alla limitazione della proliferazione nucleare nella regione del Medio Oriente, secondo il quale Israele si riserva il diritto di condurre attacchi preventivi utilizzando armamenti convenzionali per impedire ad altri paesi della zona di sviluppare armi atomiche. In passato, Israele ha effettuato azioni di questo tipo, colpendo infrastrutture e personale legati ai programmi nucleari in Iraq e Iran. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito più volte che il suo paese non permetterà all’Iran di dotarsi di armi nucleari. Di fronte alla convinzione che l’Iran stia per sviluppare tale capacità, Israele potrebbe intraprendere un’azione militare per prevenirlo mediante la distruzione delle installazioni coinvolte.
Programma nucleare segreto
Il programma nucleare di Israele è rimasto segreto fino al 1986, quando Mordechai Vanunu, un ex-tecnico della centrale nucleare di Dimona, rivelò in un’intervista al Sunday Times a Londra l’esistenza di armi atomiche detenute dallo Stato ebraico, fornendo numerosi dettagli in merito. Vanunu fu successivamente attratto in una trappola a Roma da agenti del Mossad, il servizio di spionaggio israeliano, catturato e portato clandestinamente in Israele. Lì fu condannato a 18 anni di reclusione per violazione dei segreti di stato.
Vanunu è stato rilasciato nel 2004, ma è stato nuovamente arrestato e detenuto per un breve periodo per aver violato i termini della sua libertà vigilata, che limitavano la sua capacità di viaggiare all’estero e stabilire contatti con giornalisti stranieri.