Martedì 24 ottobre 2023 è in programma il cosiddetto “sciopero delle donne” in Islanda, indetto per diverse motivazioni. Per 24 ore migliaia di manifestanti alzano la voce e rivendicano i loro diritti. Ad aderire è anche la prima ministra Katrín Jakobsdóttir, la quale ha riferito di voler mostrare solidarietà alle donne islandesi. Ma perché questa movimentazione è così importante e se ne sta parlando anche in Italia?
Sciopero delle donne in Islanda: motivazioni
Per quanto riguarda questo importante sciopero delle donne in Islanda, le motivazioni sono tante e di natura molteplice. In primo luogo le migliaia di donne e di persone di genere non binario che aderiscono a questa manifestazione chiedono lo stop di qualsiasi discriminazione basata sul sesso.
Martedì 24 ottobre 2023 si lotta in Islanda anche per abbattere il gender pay gap, ovvero il divario di retribuzione tra uomini e donne. Si chiede basta alla violenza sessuale e di genere. Capiamo dunque che il messaggio politico portato da questo evento è di grande rilevanza.
Lo sciopero prevede un’interruzione per 24 ore sia del lavoro retribuito, sia del lavoro non retribuito (dunque quello in ambito domestico e familiare, che spesso ricade appunto sulle donne). Tale movimentazione è il risultato di un lungo e faticoso lavoro a cui prendono parte più di 30 organizzazioni che da anni lottano per garantire pari opportunità a uomini e donne.
La durata della manifestazione
Lo sciopero delle donne in Islanda si tiene nella capitale, Reykjavik. Ma questa non è l’unica città dove avviene la protesta. Anche circa un’altra decina di centri islandesi sono interessati domani, martedì 24 ottobre 2023, da tale movimentazione a sostegno delle donne e contro le discriminazioni di genere.
La durata prevista è di 24 ore. Le donne decidono dunque di incrociare le braccia, di non lavorare e di non prestare servizi di alcun genere, anche e soprattutto in ambito domestico e familiare. Nonostante negli ultimi anni siano stati fatti dei grandi passi avanti, le donne ancora oggi sono svantaggiate in molti settori.
A partecipare alla manifestazione sono inoltre altre persone che, per la prima volta, si uniscono al corteo. Stiamo parlando di uomini e donne trans e soggetti non binari. Tutti insieme i manifestanti e le manifestanti faranno sentire la loro voce ai governi locali e alle istituzioni internazionali.
Lo slogan “Tu questa la chiami uguaglianza?”
Sotto allo slogan “Kallarðu þetta jafnrétti?” (che in italiano significa “Tu questa la chiami uguaglianza?”), i partecipanti e le partecipanti alla protesta ribadiranno che in Islanda – Paese che, spesso e volentieri, appare come il migliore in termini di uguaglianza di genere – ci sono ancora moltissime discriminazioni nei confronti delle donne, in particolar modo nel lavoro. Problema che vi è anche in Italia.
Tra le tante richieste di questo sciopero vi è, ad esempio, quella di rendere pubblici gli stipendi di tutti i dipendenti (in modo tale da verificare l’eventuale presenza di un gender pay gap) e di instaurare politiche più serie per quanto riguarda le violenze di genere che avvengono sia sul luogo di lavoro, sia in casa, sia all’esterno.
Il primo sciopero nel 1975
Quello di domani in Islanda è uno sciopero molto importante perché ricorda quanto accaduto nel 1975. A quell’epoca le donne guadagnavano fino al 75% in meno rispetto agli uomini. Così, il giorno 24 ottobre, per la prima volta nella storia, decisero di manifestare e di paralizzare l’intero Paese.
Circa 50 anni fa oltre 25mila donne scesero in piazza a manifestare contro le ingiustizie e contro uno Stato fortemente maschilista. Le manifestanti mandarono le città in tilt per una giornata intera.. Da quel momento sono stati fatti sicuramente dei passi avanti, ma non abbastanza.
Secondo la classifica sul Global Gender Gap Report del Forum economico mondiale, l’Islanda occupa il primo posto nel mondo, con una parità salariale tra uomini e donne del 91,2%. Le associazioni che hanno organizzato lo sciopero di domani hanno fatto notare però che in alcuni lavori il divario di retribuzione è circa del 21%.