È una storia lunga 14 anni, quella di Stefano Cucchi, morto da detenuto a 31 anni il 22 ottobre del 2009. Una storia iniziata con un arresto per spaccio e conclusasi con un omicidio, per anni rimasta ingiustamente impunita.

La storia di Stefano Cucchi: l’arresto, la morte, le condanne per omicidio

Tutto inizia il 15 ottobre del 2009, quando Cucchi viene fermato e trovato in possesso di 20 grammi tra hashish, cocaina e alcune pastiglie e viene portato in caserma con l’accusa di spaccio. Il giudice che ne convalida il fermo decide che dovrà restare in carcere a Regina Coeli in attesa dell’udienza del processo per direttissima che dovrà affrontare il mese successivo.

Qualcosa, però, va storto. Quando arriva nella struttura penitenziaria, le sue condizioni di salute destano già preoccupazioni: dopo averlo visitato, un’infermiera chiede che venga ricoverato al Fatebenefratelli per degli accertamenti. Lui si rifiuta ma, dopo un peggioramento, viene portato d’urgenza al Pertini, dove qualche giorno dopo muore.

Quando la famiglia riesce a vederlo, prima dell’autopsia, si trova davanti a un corpo ridotto a uno scheletro, pieno di ematomi e ferite. Capisce che dietro la sua morte si nasconde qualcosa e denuncia. Alla fine del processo di primo grado apertosi a carico di sei medici, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria, i giudici stabiliscono che è morto per “denutrizione”. La verità verrà alla luce solo anni dopo.

Si scoprirà che Stefano era stato brutalmente pestato, riportando diverse fratture ed escoriazioni e che, a causa di queste, era morto. La svolta arriva nel 2018, quando uno dei tre carabinieri a processo per omicidio preterintenzionale tira in ballo due colleghi, sostenendo che avessero picchiato il 31enne, provocandone una “rovinosa caduta” e poi il decesso. I due, alla fine, vengono condannati. Si chiamano Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Per 12 anni dovranno restare in carcere.

Il ricordo della sorella Ilaria

“Forse adesso mio fratello potrà riposare in pace”, aveva commentato ai microfoni dei giornalisti, subito dopo la lettura della sentenza, Ilaria Cucchi, che per anni si era battuta affinché la storia di Stefano potesse ottenere la giustizia che meritava, nonostante i depistaggi e le false dichiarazioni rese dalle persone coinvolte. Oggi, a 14 anni dai fatti che causarono la morte del fratello, ha voluto ricordare quei giorni in un post pubblicato sui social.

In questo preciso momento, esattamente 14 anni fa, ricevevo la telefonata da una volontaria dal reparto protetto dell’ospedale Pertini di Roma – scrive la senatrice -. Mi chiamava da parte di Stefano che vi era ricoverato da 5 giorni, dopo il suo arresto. Ricordo che mi disse che era tranquillo. Tra poche ore sarebbe morto, solo e nel dolore, per le ferite subite nel pestaggio che aveva subito. È strano come tutto possa sembrare oggi normale. Ma non è normale. No. Non può e non deve esserlo. Non ne ho il diritto. Non io.

Il caso che riporta alla mente quello di Stefano

Negli scorsi giorni si è tornati a parlare del caso di Stefano Dal Corso, il 42enne romano morto in circostanze misteriose mentre era detenuto ad Oristano, in Sardegna, il 12 ottobre del 2022. Un caso su cui, secondo la famiglia, occorre fare chiarezza e da molti assimilato a quello di Stefano Cucchi.

Un caso archiviato come “suicidio”, ma avvolto dal mistero e che, secondo alcune testimonianze emerse nell’ultimo periodo, potrebbe celare un omicidio. L’ipotesi è che Dal Corso sia stato strangolato e che poi qualcuno ne abbia messo in scena l’impiccaggione. Sono diversi elementi a farlo pensare. Non da ultimo, il fatto che sul ritrovamento del suo corpo non ci siano foto. E che, da poco trasferito, difficilmente l’uomo avrebbe potuto procurarsi il taglierino che avrebbe usato per strappare le lenzuola e farne un cappio.

Ci si chiede se non siano coinvolti degli agenti. A Verona in cinque erano finiti agli arresti domiciliari. Erano stati accusati di aver pestato e deriso, abusando dei loro incarichi, le persone che di volta in volta fermavano e portavano in caserma. In questo articolo ripercorravamo l’intera vicenda: Verona, i video delle violenze perpetrate in questura dai poliziotti arrestati: “Scherzavano su Cucchi”.