Avvocato prima, procuratore e agente dei calciatori poi. Dario Canovi è un decano di questo settore, è stato uno dei primi a curare l’interesse di alcuni giocatori capendo l’importanza di una figura simile in Italia. Un lavoro a cui ha dedicato la vita e che ha visto cambiare, giorno dopo giorno, fino ad arrivare alla situazione attuale. Per commentare la squalifica di Fagioli e il ruolo dei procuratori nello scandalo scommesse, Canovi è intervenuto in esclusiva a Tag24.

Scandalo scommesse, Canovi a Tag24

Le indagini della Procura di Torino proseguono, lo scandalo scommesse nel mondo del calcio è solo all’inizio. Qualcuno si è già autodenunciato, qualcuno è già stato ascoltato, qualcun altro invece, probabilmente, spera ancora di poterne uscire pulito e di poter dimostrare la propria estraneità ai fatti. Di certo c’è lo shock dei tifosi e degli appassionati di questo sport. Tutti sapevano, e nessuno ha parlato? Se lo domandano in tanti in questo momento, e tante polemiche sono emerse negli ultimi giorni anche intorno alle figure degli agenti. Una situazione complessa, su cui bisognerà ancora scavare parecchio. Per commentare il ruolo assunto dai procuratori nello scandalo scommesse, Canovi, avvocato e decano di questo mestiere, è intervenuto in esclusiva a Tag24.

L’ennesimo scandalo che colpisce il mondo del calcio. Che idea si è fatto?

“Credo che purtroppo questi fatti siano ormai la conseguenza di un malcostume che vige nel calcio da troppo tempo e che nulla si sia fatto, neanche da parte delle Federazioni, Fifa, UEFA e Figc per smontare questa pratica. Sono in questo mondo da tanto tempo, mi ricordo di una squadra, di cui ovviamente non farò il nome, in cui i giocatori scommettevano addirittura su chi starnutiva o scendeva per primo dal pullman. Quelle però erano cose goliardiche e certamente non nocive, mentre oggi è diverso. Parecchi calciatori scommettono anche sul calcio e non solo su altri sport. Per quel che mi riguarda vieterei agli atleti di scommettere su qualsiasi cosa, a meno che non si tratta di eventi extra sportivi”.

Una posizione netta. Perché pensa che si dovrebbe arrivare a tanto?

“Lo dico perché quella delle scommesse è una grande tentazione ed è chiaro che un calciatore ha una conoscenza sul mondo del calcio che permette di avere sensazioni, non dico notizie, ma sensazioni, su quello che è più probabile che accada. I comuni mortali sono esterni a determinate dinamiche, è ovvio che è diverso”.

Un mondo con cui molti calciatori si stanno rovinando. Nell’attesa che l’indagine prosegua, intanto Fagioli ha patteggiato, cosa ne pensa?

“La legge sui pentiti, e parlo della giustizia ordinaria, ha fatto tante cose buone ma ha creato al contempo tanti danni. Assistiamo a delle riduzioni di pena troppo importanti, mentre secondo me chi scommette sul calcio non può arrivare a una squalifica di 7 mesi. Praticamente è meno di quello che prenderebbe un calciatore che decide di dare un calcio a un arbitro. Non so se vi rendete conto, sarebbe comunque un fatto grave, ma non così tanto come chi scommette sul calcio. Penso che ci possono essere delle condizioni che possano ridurre la pena, ma non fino a questo termine, altrimenti si dà una brutta indicazione”.

Quale sarebbe quindi la pena giusta?

“Non so quale sarebbe la pena giusta, ma il danno che questo ennesimo scandalo sta facendo al calcio è incalcolabile. La pena non può essere così lieve. Noi non ci rendiamo conto, ma spesso il dubbio crea più danni della realtà. Quello che si sta instaurando adesso, con l’ennesimo caso, è il dubbio, da parte dei tifosi, degli appassionati, di chi paga il biglietto per andare a vedere una partita, che quello a cui stanno per assistere sia finzione e non realtà. Ovviamente però dobbiamo sottolineare che le combine avvengono in rarissimi casi, quasi mai in campionati professionistici di altro livello. Lì ci vorrebbe la collaborazione di tanti calciatori, mentre la maggior parte sono persone oneste, corrette, che giocano per vincere”.

Potrebbe dipendere dagli stipendi troppo alti dati a calciatori troppo giovani?

Non centrano nulla gli stipendi. Ho visto giocatori di Serie C rovinarsi per il calcio scommesse. Conosco tanti atleti delle serie inferiori che soffrono di questo vizio. Non la chiamo malattia, perché sarebbe un termine troppo grosso. Mi pare quasi che parlando di ludopatia si voglia quasi giustificare quello che sta accadendo. È invece un vizio che va estirpato, prima con l’educazione e poi con pene adeguate nei confronti di chi compie questo reato”.

Come risponde a chi dice che il problema principale sono i procuratori?

“Dico che ormai parlano tutti. È ovvio che negli ultimi anni la figura del procuratore è cambiata radicalmente, e questo è assodato. Quando io ho cominciato avevo tanti clienti ma mi concentravo su ogni singolo. La mia opera, la mia attività, si rivolgeva a una persona, al mio calciatore. Mi è accaduto spesso di dover intervenire su fatti extra calcistici per un mio assistito. Da chi aveva messo incinta una ragazza conosciuta da poco, a dinamiche famigliari particolari, piuttosto che a storie di questo tipo. Questo deve essere uno dei fini della nostra professione e invece non è più così, non si può fare finta di niente”.

Come siamo arrivati fino a questo punto?

“La Federazione, invece che migliorare la qualità degli agenti, sottoponendo questa categoria a un controllo preventivo, sta aprendo le porte a cani e porci. L’ultimo esame fatto, seguendo le indicazioni della Fifa, è stato assurdo. Doveva esserci un test in inglese o in francese, alla fine è stato fatto in italiano, permettendo addirittura l’accesso all’esame con i computer. Potete ben immaginare che tipo di esame sia stato. La Federazione pensa che in questo modo si migliori il calcio? Esiste un regolamento del Coni sugli agenti, scritto sulla base di una legge dello Stato, che è il migliore d’Europa, insieme a quello francese. Sarebbe ora di utilizzarlo, evitando invece di combatterlo”.

Quindi in parte è d’accordo sulla scarsa qualità degli agenti di oggi?

“Purtroppo è vero che, buona parte dei procuratori se ne frega della salute del proprio assistito e pensa solo ai propri interessi. Se ho un cliente che mi fa guadagnare milioni di euro, perché dovrei seguire un giocatore che me ne fa guadagnare 20mila? Questa è la realtà, ci sono addirittura fondi che seguono i giocatori. Si è perso lo scopo di questo lavoro. Ho iniziato perché ero fiduciario dell’associazione calciatori e avevo un’educazione calcistica, che mi indirizzava a fare gli interessi del mio assistito. Fare bene era l’unico modo che avevo per acquisire altri clienti, aumentare il mio introito economico e crescere. Oggi non è più così. Le procure si comprano, e questo avviene nella gran parte dei casi. Non si può fare, ma molti lavorano solo in questo modo. Non posso fare nomi, ma nel calcio i segreti non esistono e tante cose si vengono a sapere”.