Cos’è la disposofobia? Si tratta di un disturbo psicologico che porta il soggetto ad avere un comportamento ossessivo compulsivo nell’accumulo di oggetti. Quali sono i trattamenti terapeutici e come accorgersi se una persona presenta questa malattia?
Cos’è la disposofobia: come si comporta chi ne è affetto
Soffre di disposofobia chi ha un comportamento incontrollato ad accumulare grandi quantità di oggetti. Questa attitudine è causata da una distorsione della reale importanza intrinseca dell’articolo e quindi rientra nelle patologie psicologiche.
Non è importante quale tipologia di oggetto venga accumulata: spesso si tratta di articoli senza alcuna funzione come giornali o riviste vecchie, scatole, pacchetti di sigarette vuoti, tovaglioli già utilizzati e vestiti logori.
La disposofobia infatti cerca di soddisfare il solo bisogno di possedere un ampissimo numero di prodotti. Il soggetto infatti ha una necessità smisurata di acquistare beni di qualsiasi natura. Il più delle volte questi oggetti non vengono usati nemmeno una volta e vengono quindi accatastati. Il soggetto che è affetto da disposofobia tuttavia non riesce ad abbandonare, cedere o buttare alcun prodotto di quelli posseduti.
Il disturbo causa diverse conseguenze allo stile di vita del soggetto. L’accumulo incondizionato di oggetti tende a generare disordine e cattiva gestione e pulizia degli spazi domestici.
Attività essenziali per la vita quotidiana del paziente sono alterate in maniera pericolosa. Tra esse vengono infatti modificate la qualità del riposo, dell’alimentazione e dell’igiene personale.
Nei casi più ossessivi, l’accumulo degli oggetti in cataste incontrollate riduce lo spazio casalingo. Il soggetto potrebbe così avere difficoltà alla deambulazione. In pratica il disturbo limita anche le opportunità di attività fisica.
La disposofobia è anche nota con le diciture “disturbo da accumulo compulsivo”, “accumulo patologico seriale” e “sillogomania”. Non è disturbo così raro, anche se molti soggetti affetti tendono a non palesare il proprio disturbo per vergogna. Secondo le ultime stime il 2-5% della popolazione mondiale soffrirebbe di questa patologia.
Cause e sintomi
Dietro alla disposofobia spesso c’è un trauma di tipo affettivo, come la scomparsa improvvisa di una persona cara, o una cocente delusione sentimentale, o ancora il divorzio dei genitori avvenuto durante la propria infanzia.
La comunità scientifica sta ancora cercando di capire al meglio cosa inneschi questo disturbo, ma è ormai opinione condivisa che genetica, biochimica cerebrale e eventi vissuti possano essere la chiave nella manifestazione della malattia.
In generale, chiunque potrebbe essere colpito dalla disposofobia. Tuttavia si registrano un maggior numero di casi in soggetti nella fascia adolescenziale fino ai 15 anni e poi nella tarda età. Tipicamente i soggetti hanno già un’attitudine insicura e timida, mentre è potenzialmente fattore di rischio avere un membro della famiglia già affetto dal disturbo. Allo stesso modo stress e tendenza all’isolamento possono favorire l’insorgenza dell’accumulo seriale.
Spesso poi la disposofobia è associata a deficit di attenzione/iperattività, a disturbi ossessivo-compulsivi, a stati di profonda depressione, psicosi o demenza.
Il sintomo principale è appunto la manifestazione di attaccamento agli oggetti privi di un vero valore intrinseco e la tendenza di accumularli in casa senza utilizzarli. Spesso alla proposta di eliminare o buttare questi prodotti, il soggetto manifesta attacchi di panico. Il disordine non è quindi una vera attitudine conscia ma l’insorgenza del disturbo.
Rispetto ai collezionisti, chi soffre di disposofobia non ha la concezione di riempimento dello spazio e finisce così ad esaurire ogni ambiente con l’accatastamento di oggetti pressoché inutili.
Cos’è la disposofobia: il trattamento terapeutico
La disposofobia può essere trattata con terapie di tipo cognitivo comportamentale. Si tratta però di un lavoro molto impegnativo in quanto richiede sedute presso l’abitazione del soggetto. Il primo passo è infatti accettare di essere afflitti da un disturbo ossessivo di accumulo e che gli oggetti raccolti sono in realtà inutili. La maggior parte dei pazienti infatti non ritiene di avere necessità di cura.
L’approccio terapeutico si serve di percorsi psicologici aiutati da supporto farmacologico. Il terapeuta dovrà quindi far capire al paziente quali oggetti siano effettivamente necessari per la vita quotidiana. Poi il paziente dovrà superare il trauma psicologico di allontanarsi definitivamente dagli articoli superflui.
Il trattamento spesso si avvale di somministrazione di farmaci antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina per attenuare le crisi negative.