Saranno 3 i miliardi di euro destinati alla Sanità nella prossima manovra di bilancio. La dotazione, come spiegato dalla presidente del Consiglio Meloni, persegue un’unica priorità: l’abbattimento delle liste di attesa.

Secondo lo stanziamento annunciato, questo obiettivo potrà essere raggiunto tramite un doppio intervento: il rinnovo dei contratti del comparto sanitario da un lato e la detassazione dei compensi legati al lavoro straordinario e ai premi di risultato dall’altro.

Manovra, Magliozzi: “Alla sanità servirebbero risorse ben maggiori. l’Italia è diventato il Paese formatore di Europa”

L’intervento di 3 miliardi a favore della Sanità previsto dalla manovra finanziaria 2024 evita fortunatamente un ulteriore prosciugamento del Fondo sanitario portandone la dotazione complessiva a 136 miliardi di euro. Come ammesso dal ministro Schillaci, tuttavia, il traguardo raggiunto dal Governo – «nessun Governo aveva fatto prima tanto» – non basterà: «aggiungere acqua a un serbatoio che perde non può essere l’unica soluzione».

La redazione di TAG24 ha discusso delle principali misure adottate dal Governo in tema sanità con Benedetto Magliozzi, segretario generale nazionale della Cisl Medici, in questa intervista esclusiva.

Segretario Magliozzi, rispetto alla sanità, in quale direzione va questa manovra economica?

«La quantità di risorse sono chiaramente insufficienti: è evidente a tutti come servirebbero interventi ben maggiori. La congiuntura economica, tuttavia, non è favorevole. Qualcosa è stato messo, anche se ampiamente al di sotto di quelle che sono le reali necessità. Si tratta comunque di un’iniziativa lodevole, ma iniziale.

Lei calcoli che solamente i dirigenti sanitari dipendenti sono, nel nostro Paese, circa 130.000. Se a questi aggiungiamo i medici a convenzione – quindi di medicina generale e gli specialisti ambulatoriali – e gli infermieri, i numeri quadruplicano. Capisce allora come tre miliardi sono una piccola cosa rispetto a quanto servirebbe, anche solo per risolvere il tema dei contratti.

Noi vogliamo però guardare il bicchiere mezzo pieno, e dunque prendiamo questo un inizio. C’è un aumento rispetto al Fondo sanitario, ma bisogna provare a trovare altre risorse.

Il problema è che noi siamo diventati i formatori di Europa. Tra i 4.000 e i 5.000 specialisti l’anno vanno all’estero ogni anno perché trovano mercati più gratificanti non solo dal punto di vista economico, ma anche organizzativo. I medici si dimettono dal Sistema sanitario nazionale perché non riescono più a conciliare la loro vita con il lavoro.

Il nostro mercato paga invece lo scotto di un blocco contrattuale durato oltre 10 anni. Non a caso è da più di un decennio che è iniziata la protesta silenziosa dei medici e degli infermieri che se ne vanno altrove».

Liste di attesa, Magliozzi: “Slogan della politica. Le regioni le vere responsabili, altro che vittime”

Con il fine di intervenire sulle liste di attesa, il Governo stanzia oggi dei fondi per migliorare le condizioni contrattuali di medici e infermieri. Ritiene questa una notizia positiva?

«Il tema delle liste di attesa è un bellissimo slogan che la politica si mette in bocca. Mettiamo in chiaro subito un concetto: le liste di attesa non possono essere snellite, possono essere governate.

Il tema delle lista non si limita infatti al bisogno di una prestazione sanitaria che, una volta risolto, finisce lì. Le prestazioni sanitarie avviano un percorso di presa in carico: per fare un esempio, se faccio un’ecografia alla mammella dopo avrò bisogno di fare un’ulteriore visita oncologica, fino magari all’intervento chirurgico.

Se io snellisco le liste di attesa sulle ecografie ma non lavoro su quelle del reparto oncologico, è evidente che risolverò un problema ma ne avrò un altro. Si tratta di un tema che riflette la pessima organizzazione che si è adottata negli ultimi anni.

Su questo, come ho già detto e come ribadisco, le regioni sono colpevoli, le vere carnefici – e non vittime – del sistema. Per anni le regioni hanno continuato ad esternalizzare molti servizi, tra cui il personale. Il risultato è che oggi ci troviamo il medico gettonista che guadagna 1.500 € facendo le prestazioni a gettoni e si dimette dal SSN».

Cosa potrebbe aiutare oggi la Sanità?

«Per aiutare la sanità servirebbe una rivoluzione di sistema, possibile solo andando a guardare le vere esigenze che ci sono. Per noi occorre poi che il ministero della Salute attui un meccanismo di controllo sulle regioni, responsabili di aver creato quelle disparità che oggi fanno fuggire i medici. Aver esternalizzato il personale ha fatto spendere quattro volte quello che si è guadagnato. Soprattutto, ha fatto perdere il senso di appartenenza al Servizio sanitario nazionale.

Difendere il Servizio sanitario universale significa mettere in campo una seria politica contrattuale di organizzazione del lavoro negli ospedali. I medici scappano perché fanno da soli il lavoro di dieci persone, perché hanno giorni e giorni di ferie arretrate che non possono fare, perché le ore di straordinario neanche vengono contabilizzate».

Defiscalizzazione degli straordinari dei medici: il no della Cisl Medici alla misura in manovra

Come giudica allora la scelta del Governo di detassare gli straordinari?

«Questo aspetto non va bene. Le spiego come funziona. Se io detasso una cifra e anziché prendere una somma lorda la incasso netta, comunque questi denari non li ritroverò nel contratto successivo. Accettare una defiscalizzazione significa infatti sacrificare il contratto successivo.

Quello che noi chiediamo è che siano immesse nuove risorse, aumentando di 300 € o di multipli di 300 una voce stipendiale, ovvero l’indennità di specificità medica.

Questa manovra, dal costo totale di 260 milioni, avrebbe l’effetto di mettere questi 300 € all’interno della voce stipendiale contabilizzandoli nel prossimo contratto. Una sorta di tesoretto che va all’interno del monte salari e che va a beneficio anche delle pensioni e delle liquidazioni. La defiscalizzazione invece non mette nuove risorse, leva solo una parte destinata al fisco».

La defiscalizzazione risolve quel tema di cui parlavamo in apertura, ovvero il sovraccarico dei medici?

«I medici scappano anche perché a fronte del carico di lavoro il guadagno non è assolutamente appetibile. Se vogliamo fermare questa continua fuga dobbiamo pensare anche al dato economico. Una persona che lavora in privato lavora la metà e guadagna il doppio di un medico del Servizio pubblico che lavora il doppio e guadagna la metà.

In Italia noi abbiamo un problema enorme di manodopera specializzata sul mercato. Non si trova nessuno che voglia lavorare in pronto soccorso.
Le dico solo questo: sa quante persone andranno a fare la scuola di specializzazione in medicina di urgenza alla Sapienza di Roma l’anno prossimo? Zero.

Questo ci dice che il lavoro con il pubblico in quelle condizioni, dove si è soggetti ad aggressioni, non è più appetibile».

Nel nostro precedente confronto lei aveva sottolineato come in Italia oggi le persone più povere e con più patologie tendano a rivolgersi ai Pronto soccorso anche per visite che non possono permettersi.

«Assolutamente. Ce lo dicono i numeri: in Italia abbiamo sei milioni di poveri che si recano in Pronto soccorso perché fuori non trovano la medicina territoriale. Anche perché i medici di medicina generale stanno andando tutti in pensione e non c’è ricambio. E così i più indigenti si trovano privati anche del medico di base.

Allora cosa vogliamo fare? O si fa una rivoluzione copernicana e si mette mano al portafogli capendo che la sanità non è una spesa ma un investimento per il Paese oppure continueremo a essere i formatori di Europa.

Anche perché un popolo che è ben curato lavora meglio e a più a lungo. O qualcuno ci sta facendo il giochino di farci morire prima perché non ci vuole dare la pensione? Mi passi la battuta, ma il primo che inventò la pensione fu Bismarck, il quale chiese: «qual è l’età media dei tedeschi?». Gli risposero che era cinquant’anni. E lui: «Bene, mandiamoli in pensione a 60…».