Lo scandalo del calcioscommesse non accenna ad arrestarsi. Dopo l’autodenuncia di Nicolò Fagioli e la richiesta di patteggiamento, oggi è stata la volta di Sandro Tonali, ascoltato nelle ultime ore a Torino. Nel frattempo nei confronti del centrocampista della Juventus, è già arrivata la sentenza definitiva: 12 mesi totali, di cui 7 effettivi lontano dal campo. Per fare luce sulla strada intrapresa e la squalifica di Fagioli, l’Avv. Rombolà, esperto in materia di diritto sportivo, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Tag24.
Squalifica Fagioli, Avv. Rombolà a Tag24
Lo scandalo delle scommesse su siti illegali ha gettato fango sul sistema calcio italiano e l’indagine della Procura di Torino potrebbe essere solo all’inizio. Eppure per quel che riguarda Fagioli la strada è già chiara. Oggi è arrivata infatti l’ufficialità del patteggiamento e il conseguente accordo con la Procura Federale. In definitiva una squalifica di 12 mesi complessivi, di cui 5 commutati in prescrizioni alternative. Di fatto il centrocampista bianconero starà lontano dal campo per i prossimi 7 mesi e nel frattempo ha già intrapreso un percorso per curarsi dalla ludopatia. Per commentare la squalifica di Fagioli, l’avvocato Rombolà, esperto di diritto sportivo, è intervenuto in esclusiva a Tag24.
Fagioli si è autodenunciato e con i suoi legali ha intrapreso la strada del patteggiamento, era la via più semplice?
“In questi casi non c’è una strada facile e una difficile. Da avvocato piuttosto la definirei la strada più idonea a tutta una serie di elementi, di opportunità, anche personali, che possono coinvolgere un determinato soggetto a sua volta coinvolto in un’incolpazione. Sottolineo che in gergo giuridico sportivo si parla di incolpazione e non di accusa”.
La pena edittale prevede un minimo di 3 anni, Fagioli si è accordato con la Procura per 12 mesi di cui 5 da scontare in prescrizioni alternative. In sostanza 7 mesi di squalifica. È una pena a cui si arriva considerando il patteggiamento e tutte le attenuanti?
“La pena edittale, quella che prevede il minimo di tre anni, è assolutamente da considerare in assenza di attenuanti. Fagioli si è di fatto autodenunciato, è stato il primo a mettere in luce un fenomeno. Si tratta di un fatto assolutamente deprecabile, ma i suoi legali gli hanno giustamente consigliato, a fronte di un’ammissione di colpa, di arrivare a un accordo con la Procura Federale. L’istituto della pena su richiesta è largamente utilizzato, come abbiamo visto anche nella vicenda della Juventus, del patteggiamento”.
7 mesi sono tanti, ma relativamente pochi a fronte del rischio dei 3 anni. Questo può indurre gli altri calciatori coinvolti a fare lo stesso?
“Da una parte sì, ma dall’altra no. Il patteggiamento non è una cosa che deve rappresentare una scappatoia, una via di fuga, per coloro che sono rei, seppur confessi. È invece un istituto che serve anche per non fare perdere tempo a nessuno, a non ingolfare la giustizia sportiva con dei procedimenti che si concluderebbero con una condanna certa. Quindi io sostengo sempre che ogni caso fa storia a sé. Nel caso di Fagioli gli avvocati e lui stesso hanno convenuto nella richiesta di un patteggiamento, ma negli altri casi magari non lo sappiamo. Mi sembra infatti che Zaniolo stia continuando a dichiararsi estraneo, ecco per lui il patteggiamento non ha alcuna ragion d’essere”.
Per quel che riguarda invece Tonali, oggi ascoltato in Procura, il fatto che lui stia giocando all’estero modifica le cose?
“Solo in parte, modifica la percezione dell’opinione pubblica. Se io mi rendo colpevole di un’irregolarità nel mio Paese d’origine, dove ormai non gioco più da diversi mesi, è per me più semplice l’inserimento in un Paese nuovo dove la mia colpa è percepita in maniera sfumata. Faccio fatica a immaginare un caso identico di un giocatore che, una volta resosi colpevole, possa riprendere serenamente e con facilità il suo ruolo in campo. Il punto è proprio questo a mio avviso, la serenità d’animo. Non è solo la squalifica, che comunque è gravissima perché rischia di stroncarti la carriera, ma la serenità. Non vedo come, un calciatore che ha ammesso di avere un problema con il gioco e quindi di aver astrattamente scommesso anche sul suo sport, ma non diciamo di più perché è ancora tutto da provare, possa presentarsi con tranquillità davanti ai suoi tifosi. È chiaro che non lo può fare, se non dopo un percorso. Insomma la squalifica può addirittura servire e favorire un competo recupero, anche psicologico, degli atleti”.
La sensazione è che i primi nomi siano solo la punta dell’iceberg e che ci saranno altri calciatori coinvolti. C’è la possibilità che qualcuno decida di autodenunciarsi?
“Certo che sì, anche perché collaborare e autodenunciarsi porta a uno sconto di pena. Da avvocato però per ora preferisco ragionare sugli elementi che già abbiamo a disposizione. Non condivido il tiro al bersaglio fatto in questi giorni. È chiaro che si tratta di un episodio che potrebbe non essere isolato. Da qui a disegnare uno scenario apocalittico però, in cui la maggior parte dei calciatori italiani scommette, ce ne passa. Stiamo correndo e i social non aiutano, lì tutti parlano in libertà, ahimè professionisti compresi”.
In questi 7 mesi in cui Fagioli non giocherà, la Juventus è tenuta a pagare lo stipendio normalmente?
“In teoria no, in pratica sì, perché ovviamente non ho davanti a me il contratto di Fagioli. Se ci fosse una clausola che vieta espressamente determinati comportamenti, che vengono posti in essere, ecco che potrebbe scattare la sospensione dello stipendio. A questo proposito sostengo che il modo che hanno i club per tutelarsi non è soltanto la previsione di contratti blindati. Possono infatti stabilire un codice etico interno alla squadra che ogni dipendente, dagli atleti ai collaboratori, devono firmare appena entrano a lavorare per quella squadra. Allora lì ci sarebbe un sistema di denuncia interno, con multe, che consentirebbe di gestire il tutto in maniera più riservata”.