Il 15 ottobre si celebra il “Babyloss Awareness Day”, la giornata per la consapevolezza del lutto perinatale: un movimento globale che dal 2007 ha raggiunto l’Italia grazie a CiaoLapo. Un’associazione non lucrativa che offre sostegno psicologico e assistenza a tutte quelle famiglie che si ritrovano a dover affrontare un’esperienza dolorosissima e molto complessa. Ossia quella della perdita di un figlio durante la gravidanza, o appena dopo la nascita.

Un evento che segna profondamente le mamme e i papà, ma per molti versi ancora sottovalutato. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Claudia Ravaldi, medico psichiatra e psicoterapeuta, che ha fondato CiaoLapo nel 2006 insieme al marito Alfredo Vannacci, medico farmacologo.

Giornata per la consapevolezza del lutto perinatale, il racconto di Claudia Ravaldi di CiaoLapo: “Da un’esperienza personale un sostegno per tutti i genitori”

CiaoLapo è una realtà da 17 anni. In tutto questo tempo ha contribuito ad abbattere un tabù: quello del lutto perinatale come di un evento da superare senza porsi troppe domande. Passando oltre con motivazioni del tipo: “era un grumo di cellule”, “farai un altro bambino”, “basta smettere di pensarci”. Frasi che alimentano il dolore e affrontano troppo superficialmente un avvenimento tragico che, invece, necessita di tempo, cure e sostegno.

Com’è nata l’associazione CiaoLapo?

“L’associazione è nata da un’esperienza personale: io e mio marito abbiamo infatti perso il nostro secondo bambino, nato morto a termine gravidanza. Abbiamo scoperto, durante il travaglio, che purtroppo era morto da qualche ora. La gestione di questo evento, tragico e traumatico, è stata molto al di sotto degli standard di adeguatezza: era il 2006, in Italia il tema del lutto perinatale era marginale  se non ignorato. Sono mancati tanti aspetti. Non solo di carattere psicologico- io lavoravo già come psicoterapeuta, quindi avevo un’idea di come andava gestito un trauma- ma ci sono state diverse inesattezze anche per quanto riguarda la gestione medica. Tutta la parte degli approfondimenti su di me e sul bambino sono stati superficiali: abbiamo dovuto cercarci da soli un referente che potesse occuparsi di queste tematiche.”

Non vi hanno spiegato cosa fosse accaduto al bambino?

“Ci è stato detto quello che purtroppo a volte dicono ancora oggi: sono cose che accadono senza motivo, che sarebbe stato meglio non fare alcuna indagine perché comunque avevo già un figlio, e quindi per forza di cose sarei dovuta essere sana. Quindi sono stata dimessa e abbiamo insistito per avere almeno un’indagine autoptica, che nel caso di morti improvvise e inaspettate a termine dovrebbe essere raccomandata. Però in ospedale sostenevano che sono eventi rari, che non bisogna dare loro troppo peso. Io e mio marito siamo medici e sappiamo benissimo che non si muore per caso. Ci sono situazioni che ancora oggi sono inspiegabili, perché presentano un quadro apparentemente perfetto e sano: di base rappresentano un 15-20% di tutte le morti. Ma sono, appunto, una parte.

Quando siamo riusciti ad approdare in un centro universitario che si occupa di gravidanze a rischio, aborti e morte in utero abbiamo effettuato degli esami. Così nella gravidanza successiva ho seguito delle terapie e il mio bambino è nato senza problemi. Questo aspetto, a distanza di tanto tempo, rimane a mio avviso quello più grave: ossia far credere che non si possa fare niente, affermazione che invece gli studi confermano essere falsa. Le donne hanno diritto a una serie di accertamenti, che non sono uguali per tutte e su cui si procede per gradi. Non è una perdita di tempo. Ovviamente un genitore che perde un figlio vuole sapere cosa sia successo, per dare un po’ di comprensibilità a un evento simile. Ma questi accertamenti si fanno perché la morte in utero, esattamente come la prematurità, hanno un tasso di ricorrenza elevato nelle gravidanze successive. Il rischio che questo evento possa ripetersi è superiore rispetto a quello della popolazione generale di donne sane, quindi gli approfondimenti servono a sollevare i genitori dal carico di responsabilità e dalla paura di aver fatto qualcosa di sbagliato. E’ in gioco anche la salute dei bambini che arriveranno dopo. Quindi abbiamo iniziato a cercare sulle banche dati internazionali studi e ricerche sull’argomento.”

E cosa avete trovato sul lutto perinatale?

“Abbiamo trovato diverse informazioni provenienti da Paesi come Australia, Canada, Inghilterra. Noi come associazione siamo partiti con l’idea di tradurre i documenti e metterli a disposizione dei colleghi. Non avevamo idea che ci avrebbero contattato moltissime famiglie alle prese con problemi di perdita in gravidanza o dopo la nascita e una gestione dell’evento molto irrispettosa e molto ingiusta. Siamo partiti dalla formazione e siamo arrivati a occuparci anche di sostegno. 

Prima dei nostri lavori, non c’erano ricerche pubblicate in Italia sui genitori italiani che avevano vissuto la morte perinatale. Già dal 2007 abbiamo iniziato a raccogliere dati e fare ricerche con il nostro gruppo sempre crescente di genitori, ma anche di colleghi che hanno iniziato a interessarsi dell’argomento. Oggi partecipiamo anche a conferenze internazionali e scambiamo progetti di ricerca con l’estero. Siamo così riusciti a confrontare i nostri dati e a misurare le esigenze dei genitori italiani, che abbiamo scoperto essere uguali a quelle di tutti gli altri. Questi eventi di lutto hanno delle differenze culturali, ma numerose similitudini dal punto di vista psicologico e psichiatrico: la necessità di assistenza e gli effetti collaterali sono i medesimi di tutte le mamme e tutti i papà del mondo. Era urgente e necessario che anche in Italia iniziassimo a occuparcene. Abbiamo visto che, se non c’è un’assistenza psicologica adeguata, il lutto si complica. Un terzo dei genitori sviluppa disturbi come la depressione o l’ansia, prolungati e invalidanti.”

Lutto perinatale, una “rete” per offrire sostegno ai genitori

La dottoressa Ravaldi spiega come, tramite l’associazione CiaoLapo, si sia creata una “rete” per intercettare i bisogni delle mamme e dei papà alle prese con la morte di un figlio. Dal lutto fisiologico, che ha le sue caratteristiche, alle complicanze che è dovere intercettare per fornire il giusto livello di assistenza e terapie. “Se non facciamo niente, la metà dei genitori continua a stare male e una buona parte resta con i sintomi a distanza di anni” sottolinea.

Quali sono le attività dell’associazione?

“CiaoLapo fornisce assistenza in parte gratuita e poi a prezzi calmierati. L’idea innovativa di CiaoLapo è stata quella di lavorare accanto agli ospedali, accanto ai consultori e non al posto di: grazie a questa rete, soprattutto con alcune realtà che funzionano- siamo disomogenei in Italia- i genitori stanno meglio. Tra i casi trattati, abbiamo avuto anche gravi depressioni e due episodi di psicosi post-parto nelle gravidanze successive. E ha funzionato tantissimo la rete: familiari, medico di famiglia, ospedale. Intercettare il problema e disporre delle risorse a disposizione è qualcosa che fino a qualche anno fa non c’era. Prima dicevano: ‘Aspettiamo di vedere come va’ ma sappiano questo non funziona: i segni e i sintomi possono rimanere a lungo se non si fa nulla, il costo in termini di salute è elevatissimo, anche in quelle donne che poi hanno avuto altre gravidanze andate a buon fine.

‘Aspettare di vedere come va’ è qualcosa di lontano dalla medicina moderna: CiaoLapo accompagna e sostiene. Noi organizziamo anche gruppi di auto mutuo aiuto, la base di partenza del sostegno: per qualcuno sono funzionali, per altri no, le cure devono essere sviluppate in modo personalizzato. CiaoLapo si rivolge alle coppie o ai single con l’idea di dare uno spazio anche ai padri, incentivando un lavoro su se stessi prima che sia troppo tardi. Perché anche i papà possono avere delle complicanze del lutto. Sintomi invalidanti come ansia o disturbo post traumatico da stress -incubi, flashback, somatizzazione- possono trascinarsi anche per anni.

Nel 2006 a mio marito è stato detto: ‘Devi essere forte anche per lei’. Ancora oggi in molte realtà non c’è un sostegno psicologico per loro. E’ un tema urgente: i servizi che ci sono non funzionano per entrambi, quindi il partner si arrangia. Ma il costo di un lutto è molto alto. Ad oggi in Italia, secondo i nostri dati, 6 papà su 10 non ricevono proposte di sostegno.”

Le mamme e i papà cosa raccontano? Solitudine, impotenza, scarsa considerazione da parte di chi li circonda?

“Solitamente sì, anche se c’è stato un incoraggiante cambiamento negli ultimi 5 o 6 anni: abbiamo notato un aumento della voglia di aiutare da parte degli amici di famiglia e dei colleghi di lavoro. A rivolgersi a CiaoLapo, prima, erano solo le mamme e i papà lamentando profonda solitudine. Ora scrivono anche amici e colleghi, chiedendo cosa possono fare e come poter aiutare. Ci sono però ancora genitori che ci contattano perché trattati in modo poco rispettoso, per non dire violento, a cui sono stati negati bisogni fondamentali. Il 30-40% ci scrive per questo. Gli altri ci scrivono conservando un buon ricordo di quanto accaduto in ospedale, ma tuttavia hanno questa sensazione di incredulità e di confusione dopo il lutto. Sai che è successo, ma non riesci a crederci: in questa prima fase non sai cosa ne farai di te e della tua famiglia.

Il lutto all’inizio fa rabbia: non c’è un tempo e un modo di affrontarlo uguale per tutti. Se intorno la società non è in grado di accogliere, di avere rispetto per questo stato transitorio delle persone, i genitori spesso non riescono neanche a iniziare a elaborarlo. Fanno finta di niente e vanno avanti. E’ stato fatto un grande passo avanti da parte dei genitori, anche se serpeggia ancora la cultura del “non ci pensare”, “non ti fissare altrimenti non resti più incinta”. Il lutto ha una durata fisiologica: abbiamo avuto la prova che la durata media è quella descritta dalla letteratura, circa 18 mesi. Se si fa fretta ai genitori, il lutto non passa più velocemente, piuttosto si incastra. E rimane lì. Per riuscire a tornare al comando di se stessi, dobbiamo dare almeno 14-18 mesi di tempo alle persone per lavorare sulla loro situazione: a questo punto la strada, almeno, smette di essere in salita.”

I due consigli per le mamme e i papà che soffrono per la perdita del loro bambino

In occasione della Giornata mondiale per la consapevolezza del lutto perinatale, la dottoressa Ravaldi parla anche di come affrontare i primi tempi di questo tragico evento.

Quale consiglio può dare alle mamme a ai papà che stanno attraversando un lutto per aver perso un bimbo durante la gravidanza o dopo la nascita?

“Il primo consiglio riguarda un tema che non affronta mai nessuno, quello della ricerca della gravidanza successiva. Noi sappiamo che è un istinto: la metà dei genitori, dopo un lutto, vogliono subito cercare un’altra gravidanza. Mentre l’altra metà pensa: ‘Non avrò mai più un bambino’. In mezzo a questi due estremi noi abbiamo i suggerimenti dell’OMS, che chiede di aspettare almeno sei mesi. Un tempo che sembra lunghissimo e spesso disatteso dalle coppie. Ma c’è una ragione per chiedere di rispettare questo periodo: serve per il recupero fisico e per il benessere psichico. Noi di CiaoLapo, siccome spesso i genitori si arrabbiano e non capiscono perché attendere questi sei mesi, siamo arrivati a mediare: ne chiediamo almeno 4. Per una ragione prettamente psichica. Abbiamo visto, come già tutti gli studiosi dei grandi traumi, che il cervello dei genitori ha bisogno di almeno tre mesi per tornare alle sue normali attività neuronali nelle aree deputate alla gestione degli eventi avversi e dello stress, quelle più colpite dagli eventi traumatici. Dopo questi tre mesi si può vedere se il trauma è stato gestito. Oppure se è necessario lavorarci su in quanto iniziano quei sintomi legati al disturbo post-traumatico da stress. Io chiedo ai ‘miei genitori’ di attendere con un sostegno per lavorare con il loro cervello: ne guadagnano in termini di salute per affrontare la gravidanza successiva.

Il secondo consiglio è: rispettarsi. Rispettare se stessi e il partner, anche se ha idee molto diverse su come si elabora il lutto. Il rispetto di sé aiuta a riconoscere i propri bisogni e a dare loro valore. Lasciare spazio a come siamo nel momento del lutto aiuta a evitare il rischio di complicanze. Aiuta  a imparare, anche nei giorni più bui e nei primi mesi, che sono i più duri. Alcune famiglie hanno bisogno di fare capo al rispetto di sé, altrimenti uscire dall’ombra diventa difficile, anche senza cercare di essere a tutti i costi adeguati a ciò che la società chiede. Spesso quelle della società sono richieste impossibili: dopo un trauma non si può subito tornare come prima. Il rispetto di chi è coinvolto nel lutto è un aspetto importantissimo: se ho rispetto di me posso investire le mie energie- che già sono poche, in questa fase- a cercare ciò che mi fa stare bene. Senza fingere che non sia successo niente: un meccanismo di compenso che la società incoraggia e che invece, ricordiamolo, è un’azione kamikaze.”