La raccolta iniziale di fondi è necessaria nel settore della blockchain. Dopo il varo di un piano di sviluppo, infatti, necessitano le risorse finanziarie per poter realizzare quanto affermato in sede di tokenomics della criptovaluta in oggetto. Per farlo, solitamente le aziende interessate utilizzano uno strumento ben preciso, la Initial Coin Offering (ICO).

In pratica, stiamo parlando di una tipica iniziativa di crowdfunding, che vede i team interessati offrire token in cambio di denaro liquido da poter usare all’uopo. Si tratta di una pratica diventata popolare dopo il 2014, quando la utilizzò Ethereum, e diffusasi a macchia d’olio sino al vero e proprio boom del 2017. Andiamo quindi a vedere più da vicino di cosa si tratti, compresi i vantaggi e gli svantaggi ad essa collegati.

ICO: cos’è e come funziona

Spesso si confondono le ICO con le IPO (Initial Public Offering). Si tratta però di procedure sostanzialmente diverse. Le seconde, infatti, riguardano imprese già note, le quali decidono di quotare il proprio titolo in Borsa, al fine di raccogliere fondi per lo sviluppo dei piani futuri, quindi per ingrandirsi, raccogliendo soldi sul mercato.

Nel caso delle ICO, invece, le realtà che le adottano stanno muovendo i primi passi. Anch’esse necessitano di fondi su cui imperniare i propri piani di sviluppo. Al posto di azioni, però, le startup del settore crypto offrono agli aderenti token. Quindi, gli investitori, non stanno acquistando una parte della compagnia, ma semplicemente un prodotto da essa offerto.

Se è diversa la contropartita proposta rispetto alle IPO, le ICO possono comunque assumere svariate forme. Le realtà proponenti, infatti, possono trovarsi in una fase iniziale del proprio percorso e non aver neanche varato la propria blockchain. In questo caso usano un’altra rete, solitamente quella di Ethereum, per il lancio. Oppure averla già ideata e chiedere risorse in grado di aiutarla a crescere e implementare nuove funzioni.

Per quanto riguarda le tempistiche, solitamente le ICO vengono preannunciate, con tanto di data di chiusura. Potrebbe poi essere previsto un tetto per i token offerti in questa sede, e una whitelist, ovvero una lista cui chi intende aderire deve registrarsi per tempo. In ognuno di questi casi, però, è molto importante accostarsi all’ICO con molta cautela.

Attenzione alle truffe

Il motivo che spinge a muoversi con circospezione, deriva dal fatto che nel passato si sono registrate molte truffe, tramite questo strumento. Un gran numero di ICO si sono rivelate all’atto pratico semplici grimaldelli per sottrarre denaro agli incauti investitori. Tra i tanti raggiri perpetrati, hanno destato sensazione soprattutto i seguenti:

  • Plexcoin, la più grande in assoluto, verificatasi nel 2017. Il suo fondatore, Dominic Lacroix, proponeva un ritorno sull’investimento iniziale pari al 1354%. Un’esca cui hanno abboccato in molti, permettendo a quello che era un noto truffatore, di raggranellare ben 15 milioni di dollari;
  • Benebit, architettata con molta cura, proponendo un sito molto dettagliato e una comunità su Telegram cui aderivano oltre 9mila persone. Tutto fatto ad arte per raggranellare il bottino e far perdere le proprie tracce. Bottino che, secondo le informazioni raccolte, potrebbe aver raggiunto i 4 milioni di dollari;
  • Opair e Ebitz. Si tratta di due “progetti” distinti, proposti però dalla stessa persona, un certo “Wasserman”, nome utente usato su Bitcointalk, il forum crypto più reputato e seguito a livello globale. Opair prometteva la creazione di un sistema decentralizzato di carte di debito, simili ad un bancomat, mentre Ebitz si presentava come un progetto simile a Zcash, attuato da un gruppo di whitehat hacker, ovvero pirati informatici etici. In entrambi i casi si trattava di semplici truffe, grazie alle quali Wasserman ha racimolato il corrispettivo di circa 390 Bitcoin.

Naturalmente, non solo state le sole truffe e non saranno, con ogni probabilità, le ultime. Proprio per questo occorre tenere gli occhi aperti, quando si tratta di ICO,