Gli algoritmi di consenso sono molto importanti in ambito blockchain. Grazie ad essi, infatti, è possibile organizzare i processi che avvengono al suo interno in maniera coerente e impedire operazioni deleterie per la rete. I più famosi in assoluto sono il Proof-of-Work, che caratterizza Bitcoin, e il Proof-of-Stake, il quale è attualmente adottato da Ethereum.

Proprio per quanto riguarda l’algoritmo di consenso Proof-of-Stake occorre segnalare una variante considerata più democratica dagli esperti, ovvero il Delegated Proof-of-Stake (DPoS). Creato da Daniel Larimer nel 2014, ha assunto un’importanza sempre maggiore proprio in quanto risponde meglio all’afflato democratico che caratterizza il mondo crypto.

Delegated Proof-of-Stake: cos’è e come funziona

L’algoritmo di consenso Delegated Proof of Stake (DPoS) è caratterizzato da un sistema di voto che prevede l’utilizzo di delegati, indicati come testimoni, da parte degli interessati, cui viene affidato il compito di sovrintendere al corretto funzionamento della rete.

Dopo essere stato ideato da Daniel Larimer, è stato implementato da una serie di progetti, tra i quali spiccano Steem, Bitshares, Ark e Lisk. A spingere queste aziende a farlo, il fatto che il suo funzionamento sia in grado di garantire un tasso di democrazia maggiore rispetto ad altri algoritmi di consenso. Una caratteristica molto gradita dai criptofans, che permette di formare in effetti comunità più coese.

I delegati, a loro volta, sono incaricati di raggiungere il necessario consenso nel corso della generazione dei blocchi da aggiungere alla catena e conseguirne quindi la validazione. Il diritto e il potere di voto sono esercitati in maniera proporzionale al numero di token posseduti da ognuno degli utenti interessati. Se le modalità della votazione vanno a differire di blockchain in blockchain, di solito ognuno dei delegati provvede a presentare una proposta e sottoporla agli altri. Una volta analizzate le proposte pervenute, si procede alla votazione e la distribuzione delle ricompense avviene in proporzione al numero di elettori che hanno delegato i prescelti.

Come si può facilmente capire, un fattore fondamentale nella fase della votazione, è rappresentato dalla reputazione dei delegati. Quindi gli stessi devono cercare di mantenerla e renderla inattaccabile lavorando nel modo più efficiente possibile. Basta un errore, più o meno voluto, per essere espulsi dal sistema.

I vantaggi del Delegated Proof-of-Stake

Naturalmente, ogni algoritmo di consenso presenta pregi e difetti. Il Proof-of-Work, ad esempio, rende necessaria la dotazione di macchinari potenti e costosi, i soli che possono risolvere i complessi problemi matematici che aprono la strada all’aggiunta dei blocchi. Al tempo stesso, proprio questo procedimento riesce ad assicurare grande protezione alla blockchain. Al contempo le transazioni sono molto lente e costose, impedendo a BTC e altre criptovalute imperniate su PoW di rappresentare una effettiva alternativa per i pagamenti digitali.

Il meccanismo Proof-of-Stake, a sua volta, è in grado di processare le transazioni in maniera molto più veloce e conveniente. In questo caso, infatti, non ci sono calcoli da effettuare, bensì valuta virtuale da depositare. La scelta dei nodi avviene in maniera assolutamente casuale e favorisce ovviamente chi mette più token in staking. Sconta però tali prerogative con una minor sicurezza ed è quindi più esposto ad attacchi da parte della pirateria informatica.

Il Delegated Proof-of-Stake si prefigge un maggiore tasso di democrazia, rispetto al PoS normale. A essere valorizzata nel suo caso è la reputazione del delegato e non il quantitativo di token che può mettere. Se riesce ad avere l’incarico, questi deve agire in maniera etica ed efficiente. In caso di errori sarà sostituito da altri. Ciò vuol dire che DPoS è in grado di eliminare anche i nodi che agiscono in maniera scorretta volutamente.

Il tutto va infine a tradursi in prestazioni più efficienti del sistema. Le blockchain impostate sul Delegated Proof-of-Stake, infatti, sono in grado di garantire una maggiore scalabilità. Riescono cioè a elaborare un numero molto più elevato di transazioni rispetto a quelle che operano tramite Proof-of-Work e Proof-of-Stake.