Per la strage di Sinnai, Beniamino Zuccheddu ex pastore oggi 59enne, si trova ristretto da quasi 33 anni in carcere. Ma per alcuni è un errore. Lo sostengono con forza, oltre all’avvocato di Zuncheddu anche la ex procuratrice generale di Cagliari Francesca Nanni, e molte persone che si sono interessate a questa storia, alcune delle quali oggi pomeriggio si sono riunite davanti al Tribunale di Roma, a piazzale Clodio, dov’era in programma un’udienza per il processo di revisione, e dove hanno organizzato un sit-in di solidarietà.

La Strage di Sinnai: Beniamino Zuncheddu ha ucciso tre pastori nel 1991?

Per raccontare la storia di Beniamino Zuncheddu e della strage di Sinnai, bisogna tornare indietro di quasi 33 anni, al febbraio del 1991, quando alle spalle del pastore di Burcei si chiude la porta di una cella carceraria che, finora, non è stata più riaperta. Su Zuncheddu infatti pende una condanna all’ergastolo per strage, nonostante da 33 anni lui si dica innocente. Non ha mai ammesso nulla, nonostante l’ammissione potrebbe aprirgli la strada dei benefici carcerari.

La sua ostinazione a dirsi innocente è sostenuta dal suo avvocato e dall’ex procuratrice di Cagliari che dicono di aver raccolto elementi che li convincono che il processo va rivisto e che la verità giudiziaria sulla strage di Sinnai sia ancora tutta da scrivere.

Ma torniamo allora all’8 gennaio del 1991, all’ovile di Cuile is Coccus, sulle montagne della Sardegna meridionale, tra Burcei e Sinnai. Qui vengono trucidati tre pastori: Gesuino e Giuseppe Fadda, padre e figlio proprietari dell’ovile, e il loro dipendente Ignazio Pusceddu, tutti di Maracalagonis. A compiere il massacro, secondo quanto stabilito in primo grado, sarebbe stato, da solo, l’allora 27enne e anche lui pastore Beniamino Zuncheddu.

Secondo la ricostruzione del procedimento quel giorno Beniamino sarebbe arrivato all’ovile in sella alla sua vespa e con un fucile. Avrebbe sparato prima al padre Gesuino uccidendolo, poi sarebbe andato a cercare il figlio e, una volta trovatolo, lo avrebbe finito a fucilate. Si era poi imbattuto nel servo pastore, uccidendo anche lui. A quel punto era rimasto il genero, Pinna, che si finse morto salvandosi dal massacro.

Tutti i dubbi sulla ricostruzione della strage che ha portato alla condanna di Zuncheddu:”Nessuno riconobbe mai il responsabile”

Una ricostruzione che, per l’avvocato e l’ex procuratrice non regge. Zuncheddu, partito da Burcei alle 17,47 era già rientrato alle 19, quindi il tempo per compiere tale massacro sembra poco. Non solo. Nell’inchiesta, l’assalto all’ovile viene definito “paramilitare”, ma Zuncheddu ha un problema fisico che lo affligge alla spalla praticamente fuori uso dalla nascita. Tutti elementi che fanno sostenere ai due legali che il condannato per la strage di Sinnai sia in realtà vittima di un errore giudiziario.

Ma se non è stato Beniamino Zuncheddu, chi ha ucciso tre persone nell’ovile di Sinnai nel gennaio del 1991?

Secondo l’avvocato e la procuratrice il vero colpevole è legato a un altro fatto criminale avvenuto in zona negli stessi giorni della strage dei pastori, ovvero un sequestro di persona: il rapimento dell’imprenditore Gianni Murgia di Dolianova, liberato tre giorni prima della strage dietro riscatto di 600 milioni.

Secondo quanto ipotizzano i legali, la strage sarebbe stata compiuta da qualcuno che aveva avuto a che fare anche con quel sequestro, ma che venne protetto per ragioni proprio legate in qualche modo a quel rapimento e alla sua soluzione. D’altronde, quando ci fu da indagare sul triplice omicidio, venne subito imboccata dagli inquirenti la strada che portava dritta lite tra pastori finita in tragedia. Zuncheddu e i Fadda erano in pessimi rapporti come spesso succede tra vicini che si scambiano dispetti, recriminazioni e anche minacce verbali.

Oggi a Roma si è celebrata un’udienza per la revisione del processo in cui sono stati riascoltati testimoni del precedente procedimento. Uno è Angelo Calabrese, il maresciallo dei carabinieri che si è occupato delle indagini all’epoca che ha raccontato che il sopravvissuto Luigi Pinna aveva detto di non essere in grado di riconoscere l’aggressore perché aveva un collant sul volto, e ha anche confermato che le indagini sono immediatamente andate sull’ambiente degli allevatori, escludendo qualsiasi pista alternativa.