Sicurezza stradale: novità giudiziaria sulla morte di Elena Aubry. C’è una condanna in secondo grado di una delle otto persone che devono rispondere davanti alla giustizia, dell’accusa di negligenza, omicidio colposo ai danni della venticinquenne romana che ha trovato la sua fine in una bella giornata di primavera mentre guidava con calma e sicurezza la sua adorata e ben conosciuta motocicletta.

Elena Aubry, processo alla sicurezza stradale: condannato il responsabile della ditta di manutenzione

C’è una novità sulla morte ingiusta di Elena Aubry, uno dei casi che da cinque anni sta tenendo viva l’attenzione sul tema della sicurezza stradale, o della sua mancanza nelle arterie trafficate delle nostre città, dove ogni giorno transitano migliaia e migliaia di persone sui loro mezzi motorizzati, a quattro o due ruote.

Arterie come la via Ostiense, 24 chilometri di strada che ricalca il percorso della antica via romana che dalle pendici dell’Aventino permetteva i collegamenti con il mare, esattamente come oggi. Al chilometro 25,5 della moderna e perennemente trafficatissima strada che collega ancora Roma al litorale, il 6 maggio del 2018, la giovane Elena Aubry, 25 anni ed esperta motociclista, ha trovato la morte.

Mentre viaggiava a bordo della sua Honda Hornet, è infatti successo qualcosa che ha segnato il destino della ragazza. Elena Aubry ha perso il controllo della moto, ed è stata sbalzata in aria per poi impattare con il guarda rail e morire.

Cosa fosse successo in quel tratto di strada e come fosse possibile che una ragazza di provata esperienza come motociclista e che conosceva la via Ostiense come le sue tasche fosse rimasta uccisa in un incidente in cui non era stato coinvolto alcun altro mezzo, divennero subito domande centrali su un decesso che, grazie alla determinazione della famiglia, si iniziò ad approfondire. Oggi il caso giudiziario che è scaturito dalla morte di Elena Aubry è considerato importantissimo, perché potrebbe diventare un precedente per molte altre morti simili che, fino ad ora, sono state quasi automaticamente archiviate.

La battaglia della madre Graziella Viviano, per la sicurezza di tutti

La battaglia inesausta della madre di Elena, Graziella Viviano, che sin da subito ha iniziato a farsi e fare domande sulla dinamica dell’incidente che le ha portato via una figlia, si è conclusa infatti con il rinvio a giudizio di otto imputati per omicidio colposo.

Si tratta di funzionari del comune e del municipio X, oltre che persone con ruoli di responsabilità diretta nella ditta vincitrice dell’appalto per la manutenzione di quel tratto di strada.

Una di queste persone, Alessandro Di Carlo, responsabile della sorveglianza della ditta vincitrice dell’appalto della manutenzione delle strade del X Municipio, è stata condannata questa mattina in appello, alla pena di un anno e sei mesi di carcere. L’ingegnere dovrà scontare così quella che è stata giudicata dal Tribunale una sua colpevole negligenza. La pronuncia del giudice d’appello, che ha scontato di sei mesi la precedente sentenza di primo grado, accogliendo le attenuanti generiche, è stata accolta con soddisfazione da Graziella Viviano, madre di Elena Aubry, che si rende perfettamente conto del quadro generale della sua battaglia.

La battaglia di una madre che chiede giustizia per la morte  di una figlia ma, allargando lo sguardo, la battaglia di tutte le madri, i padri, i fratelli, i mariti, le mogli, di tutte le persone che hanno trovato una fine simile a quella di Elena e i cui casi sono stati archiviati come incidenti, avversità del destino, anche quando sarebbe stato lecito indagare se ci fossero altre responsabilità oltre a quelle del fato. Una battaglia infine, di tutti, di chiunque metta il naso fuori di casa, in sella a una moto, a bordo di un auto o di una bicicletta o anche, semplicemente, a piedi. Tutti coloro che hanno diritto a strade sicure e percorribili senza rischi, perché le “strade killer” non esistono, e se lo diventano, forse  bisogna scavare per cercare qualche responsabilità.

Graziella Viviano con la sua battaglia mette sotto esame un sistema, che non funziona o viene fatto funzionare senza coscienza sulle conseguenze di eventuali comportamenti superficiali  o anche dolosi. Perché, se qualcuno muore perché una strada non viene messa in sicurezza o manutenuta, è giusto che si scavi su una eventuale negligenza. Questo avviene, come ricorda la madre di Elena, troppo raramente.

Dopo la condanna di oggi di Alessandro Di Carlo,  per la morte di Elena Aubry causata dal pessimo stato del manto stradale, attendono di essere giudicate altre sette persone. Si tratta di  due direttori del dipartimento Sviluppo infrastrutture e manutenzione urbana, il Simu (Roberto Botta e Fabio Pacciani), il responsabile della manutenzione ordinaria del lotto 6 della grande viabilità (Francesco Compagnoli). E poi i responsabili del manto stradale e direttori del X Municipio: Marco Domizi e Nicola De Berardini. E Fabrizio Pennacchi, responsabile della Esgra, la ditta che aveva l’appalto della manutenzione di quel tratto di strada per cui lavorava l’ingegnere Alessandro Di Carlo.

Per loro, le aule del tribunale si apriranno il prossimo luglio.