Il memorandum d’intesa tra Europa e Tunisia firmato lo scorso 16 luglio tra mille dichiarazioni di giubilo, soprattutto del governo italiano che l’aveva sostenuto, è già carta straccia. Tutto peraltro bruciato in una sola fiammata con il gesto di Tunisi di restituire i 60 milioni già versati dall’Unione alle casse del Paese governato da Kais Saied. Che poi sarebbero i famosi 60 milioni di euro che avrebbero dovuto aiutare lo Stato africano per rimettersi in carreggiata dopo la mazzata Covid e a cui sarebbero stati sommati i restanti 67, come sostegno per scongiurare nuove partenze di migranti verso il Vecchio Continente.

Altro che vittoria: la Tunisia restituisce 60 milioni e saluta l’Europa. Minacciandola.

Come se non bastasse, e come se non bastassero le nuove e più prolifiche alleanze con Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (Brics) in vista, arrivano anche le minacce, con Tunisi che assicura:

Siamo pronti a rivelare segreti.

La risposta per le rime al commissario per l’allargamento e la politica di vicinato, l’ungherese Oliver Varhelyi, che aveva sfidato i tunisini a restituire la somma quando questi avevano espresso la volontà di rinunciarvi. Sfida a quanto pare raccolta. Mentre Saied spiega:

Questo metodo viola la nostra dignità e ci mette di fronte a un fatto compiuto sul quale non siamo stati nemmeno consultati: il popolo tunisino rifiuta i favori previsti a qualsiasi titolo e accetta di trattare solo nello spirito di partenariato strategico basato sull’uguaglianza e sul rispetto.

“Il popolo tunisino rifiuta i favori previsti”

Tra le righe: “Niente elemosina, vogliamo contare di più”. Mentre, sul fronte immigrazione, era stato ancora più deciso il messaggio:

Noi non siamo gendarmi a guardia di confini altrui.

Detto dei 60 milioni, i restanti 67 sono in realtà 42, visto che 25 erano stati già stanziati. Mentre andava in scena il più grande equivoco dell’estate: no, la Tunisia non chiude le porte col gettone. “Uno schiaffo all’Italia più che all’Europa” ha detto l’ex premier Conte.