Ricorda molto quella di Saman Abbas, la storia di Sana Cheema, la 24enne di Brescia uccisa in Pakistan dal padre e dal fratello per aver rifiutato un matrimonio combinato. I fatti risalgono all’aprile del 2018, ma solo di recente la Corte d’Assise che si sta occupando del caso ha deciso che si recherà nel paese d’origine della vittima. L’obiettivo è fare luce sulla vicenda, i cui contorni restano ancora in gran parte da definire.

La storia di Sana Cheema, uccisa a 24 anni in Pakistan per un matrimonio combinato

Il corpo della 24enne era stato trovato senza vita il 18 aprile del 2018 in Pakistan, suo paese d’origine, il giorno prima che facesse ritorno in Italia, dove da tempo viveva a Fiumicello, in provincia di Brescia. Le autorità italiane sono convinte che sia stata uccisa dal padre e dal fratello per aver rifiutato un matrimonio combinato.

Finiti a processo, in Pakistan i due sono stati assolti – insieme ad altri familiari, tra cui la madre di Sana – per “insufficenza di prove”. Ora a giudicarli sarà la Corte d’Assise di Brescia, che nelle scorse ore ha fatto sapere di voler recarsi all’estero per ascoltare dei testimoni ed effettuare nuovi sopralluoghi. L’obiettivo è fare luce su quanto accaduto alla ragazza.

Nonostante l’accusa formulata sia di omicidio politico (per legge non è possibile formulare contro gli imputati le stesse accuse per cui sono stati assolti), gli inquirenti pensano che quando il fratello di Sana confessò il delitto, dicendo

io e Sana abbiamo avuto un litigio, lei ha iniziato a insultarmi con parolacce, allora l’ho uccisa, strangolandola con un panno,

dicesse in parte la verità, anche se poi ha ritrattato la sua versione. Secondo l’autopsia, la giovane sarebbe morta, infatti, per “asfissia meccanica violenta“, in seguito alla rottura del collo per strangolamento. E non, come aveva ipotizzato il padre Mustafa, per “ipertensione” (e dunque naturalmente, a causa di un malore). Sia lui che il figlio risultano irreperibili da diversi anni.

La testimonianza dell’ex fidanzato di Sana

A puntare il dito contro di loro, confermando i sospetti degli investigatori, sarebbe stato anche l’ex fidanzato italiano di Sana. L’uomo, oggi 32enne, più volte avrebbe riferito della volontà della giovane di rifiutare le nozze combinate, per poter vivere liberamente. Una decisione che in famiglia nessuno avrebbe accettato di buon grado.

Le similitudini con il caso di Saman Abbas

Il suo caso ricorda molto quello di Saman Abbas, la 18enne di Novellara (Reggio Emilia) trovata morta dopo essere scomparsa in un casolare di campagna a pochi passi dall’abitazione in cui viveva con la famiglia. Stando a quanto ricostruito finora, anche lei sarebbe stata uccisa dai familiari per aver rifiutato di sposare l’uomo che era stato scelto per lei, un cugino.

Per la vicenda sono finiti a processo in cinque: il padre Shabbar – da poco estradato in Italia dal Pakistan, la madre Nazia, ancora ricercata, lo zio Danish, sospettato di essere l’esecutore materiale del delitto (fu lui ad indirizzare i carabinieri sulla scena del crimine) e i due cugini della ragazza, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq.

Stando alla perizia medico-legale, l’avrebbero strozzata e poi sepolta in una fossa scavata in almeno sei momenti diversi, parecchi giorni prima del delitto, circostanza che confermerebbe la premeditazione. L’ipotesi è che volessero “punire” Saman perché avevano preso accordi con un uomo che in cambio delle nozze avrebbe offerto loro una somma di circa 15mila euro.

Una ricostruzione resa possibile dalla testimonianza di due detenuti finiti nella stessa cella di Danish, a cui quest’ultimo avrebbe confessato tutto. Davanti agli inquirenti l’uomo si è sempre dichiarato innocente, come il papà della vittima, che in passato ha addirittura accusato l’ex fidanzato, Saqib Ayub (parte civile al processo), di averla sequestrata e uccisa.