Si è aperto questa mattina, presso la Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Palermo, il processo a carico di Pietro Morreale, il 21enne già condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’ex fidanzata Roberta Siragusa, morta all’età di 17 anni a Caccamo. Impugnando la sentenza di primo grado l’avvocato che difende il giovane aveva chiesto che fossero svolti nuovi accertamenti: il collegio si è riservato di decidere, bocciando però la richiesta di poter sottoporre l’imputato a una perizia psichiatrica.

Iniziato il processo d’Appello a Pietro Morreale: uccise la fidanzata Roberta Siragusa dandola alle fiamme

Il 21enne finito a processo continua a dichiararsi innocente. Era stato lui, la mattina del 24 gennaio 2021, a dare l’allarme, chiamando i carabinieri e raccontando loro una storia ritenuta da subito inverosimile: quella del suicidio dell’ex fidanzata, Roberta Siragusa. Stando alla sua versione dei fatti, la giovane, 17 anni, si era gettata da un dirupo dopo essersi data alle fiamme, al culmine di una lite avvenuta in un parcheggio.

In quel dirupo, quando arrivarono sul posto, i soccorsi la trovarono senza vita. Nel corso degli accertamenti si capì però che ci era finita solo dopo essere morta: chi l’aveva uccisa ce l’aveva portata dopo averla colpita e averle dato fuoco con della benzina. I sospetti si concentrarono subito su Morreale. Anche perché una delle videocamere di sorveglianza installate nei pressi del campo sportivo di Caccamo – dove era avvenuto il delitto -aveva ripreso la sua auto, una Fiat Punto, a pochi passi dall’incendio.

All’interno della vettura c’erano tracce di liquido infiammabile e di sangue. Sul terreno i vestiti bruciati della ragazza e le sue chiavi di casa. In primo grado Morreale è stato condannato all’ergastolo per averla uccisa “con modalità atroci”. L’avvocato Gaetano Giunta, che lo difende, ha deciso di ricorrere in Appello, chiedendo lo svolgimento di nuovi accertamenti.

Sulla possibilità di tornare ancora una volta sulla scena del crimine e provare a ricostruire i fatti avvenuti a gennaio (quello che in gergo viene chiamato “esame giudiziale“) il collegio si è riservato di decidere; ha bocciato subito, invece, la richiesta di poter sottoporre il giovane a una perizia psichiatrica sulla capacità di intendere e di volere.

Il movente del delitto

La prossima udienza si terrà il 30 ottobre prossimo. In quell’occasione i giudici si pronunceranno sulle richieste avanzate oggi in aula e ascolteranno l’arringa difensiva e la requisitoria del sostituto procuratore generale Maria Teresa Maligno. Per l’accusa il giovane non solo avrebbe premeditato il delitto, ma avrebbe anche provato a costruirsi un alibi, inviando alla giovane dei messaggi in cui si diceva dispiaciuto per la discussione che avevano avuto.

A quel punto l’aveva già uccisa, colpendola con un sasso e dandola alle fiamme. Il motivo? Ne era geloso e non poteva sopportare di perderla: lei aveva confidato alle amiche di volerlo lasciare. Quella sera erano usciti di casa, nonostante il coprifuoco (erano i tempi più duri della pandemia), per trascorrere una serata con gli amici. Poi, dopo una discussione, il tragico epilogo, con la morte della 17enne.

La difesa ha contestato sia la ricostruzione del movente che le circostanze aggravanti riconosciute al giovane in primo grado, ritenendole insussistenti. La Corte d’Appello potrà decidere ora se credergli oppure confermare la precedente sentenza. I familiari della vittima e il comune di Caccamo, a Palermo, si sono costituiti parte civile. Si augurano che la giustizia faccia il suo corso e che Morreale paghi a lungo per il terribile delitto che ha commesso.

Il suo caso ricorda quello di Alessandro Impagnatiello, il 30enne finito in manette per aver ucciso la fidanzata Giulia Tramontano e ora a rischio ergastolo.