Giornata di raccoglimento e con il cuore ancora più pesante per l’attuale situazione in Israele, a Roma, in occasione della commemorazione per i 41 anni dall’attentato alla sinagoga in cui, il 9 ottobre del 1982, perse la vita il piccolo Stefano Gaj Taché di appena 2 anni e altre 37 persone rimasero ferite.

Raccoglimento per i 41 anni dall’attentato alla sinagoga di Roma e preoccupazione per la situazione in Israele

Accompagnato dal presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, e dal rabbino capo, Riccardo Di Segni, il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, ha deposto una corona di fiori in memoria del piccolo Stefano e dell’orrore vissuto quel giorno dagli ebrei di Roma. Per tutti, la preoccupazione per l’attuale situazione a Gaza. Di seguito i video della giornata girati da Ludovica Iacovacci.

Anche il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha deposto una corona a nome di tutta la cittadinanza.

Gualtieri: “Massima attenzione alla sicurezza”. Fadlun: “La minaccia per l’Europa è concreta”. Di Segni: “Vogliono distruggere la Civiltà occidentale”

Così il primo cittadino in merito alle misure di sicurezza messe in campo:

C’è un’attenzione costante. Con tempismo, è stato convocato anche un comitato apposito, composto anche dal prefetto e dal ministro. Regnano massima attenzione e l’impegno per garantire sicurezza a tutti i cittadini romani e dimostrare la nostra vicinanza e il sostegno alla Comunità ebraica.

La minaccia è però più che reale, come dice il presidente della Comunità ebraica Fadlun:

Ciò che sta accadendo in Israele è l’affermarsi di un nuovo tipo di guerra, una guerra dell’orrore di stampo jihadista. Entrano nelle case, uccidono e strappano dalle case i sopravvissuti, che vengono poi portati in luoghi dell’orrore, nei tunnel di Gaza, dove subiranno orrori indicibili. Se Israele non riuscirà a vincere, questo modello di orrore verrà esportato da noi.

Chiude il rabbino capo, Riccardo Di Segni:

Stiamo assistendo a qualcosa che va contro la civiltà. Bisogna che sia chiaro: nessuno può tollerare regressioni del genere e mettere in discussione il modello democratico della civiltà occidentale. E allora bisogna stare attenti. La Comunità ebraica? È preoccupata. Può mandare messaggi di solidarietà e pregare. Non possiamo fare altro.