Stefano Gaj Taché è un nome che oggi riecheggerà e che sarà omaggiato come si conviene alla più innocente delle vittime della follia terrorista.

Sarà un anniversario blindato quello che si celebrerà alla presenza delle istituzioni nella mattina  di oggi, 9 ottobre, nel largo che oggi è intitolato proprio Stefano Gaj Taché in memoria dell’attentato alla Sinagoga del 1982 dove perse la vita un bimbo di 2 anni e su cui, a distanza di 41 anni, le indagini sono ancora in corso.

Attentato alla Sinagoga di Roma, celebrazioni blindate

Alle 9.30, come ogni anno, al Ghetto sono attesi i rappresentati delle istituzioni: il Ministro degli Interni Matteo Piantedosi,  il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri che affiancheranno i rappresentanti della Comuità Erbraica nel ricordo di uno dei momenti più tragici degli anni recenti per gli ebrei romani e non solo. Ma quest’anno il ricordo del terribile attentato alla Sinagoga di Roma sarà circondato da un’atmosfera di tensione che non si registrava da molti anni.

A seguito dell’attacco di Hamas ad Israele che, di fatto, riapre la fase armata di una guerra mai veramente finita, la prefettura ha deciso di aumentare le misure di sicurezza in tutta la zona del Portico d’Ottavia, anche considerando che proprio l’attentato di cui oggi si celebra la memoria, avvenuto contro la Sinagoga di Roma nel 1982 e che portò alla morte del piccolo Stefano Gaj Taché maturò proprio nel contesto dello sviluppo libanese del conflitto israelo-palestinese.

L’attacco di Hamas è arrivato il giorno dopo l’anniversario dell’inizio della guerra del Kippur e ci sono data simboliche che rimangono scritte dal terrore nella memoria delle comunità colpite. Ecco perché la data del più terribile attentato antisemita sul territorio nazionale dopo la fine della seconda guerra mondiale, suscita preoccupazioni.

Quella dell’attentato alla sinagoga del 9 ottobre 1982, viene definita da Victor Fadlum, attuale capo della Comunità Ebraica di Roma definisce al Corriere della Sera “Una ferita ancora aperta […] Noi ebrei non dimentichiamo mai che Mattarella ricordò StefanoGaj Taché come una vittima del terrorismo nel discorso di insediamento. Nei giorni dell’attentato fummo lasciati soli […]Non sono chiari né contesto né responsabilità. Le indagini sono ancorain corso. Abbiamo fiducia nella magistratura e nelle istituzioni”.

Stefano Gaj Taché, chi era  il primo ebreo assassinato in Italia dal 1945

E’ stato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a definire con chiarezza, storicamente, la figura di un innocente bambino di 2 anni, con la sola colpa di appartenere alla sua comunità di origine e di trovarsi, insieme a tanti altri bambini e adolescenti nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Stefano Gaj Taché è infatti da considerarsi il primo ebreo assassinato in quanto ebreo sul territorio italiano dalla fine della seconda guerra mondiale.

Il bambino fu ferito alla testa da un colpo di mitraglietta durante l’attentato al Tempio Maggiore degli di Roma, a mezzogiorno di sabato 9 ottobre 1982 e morì circa un’ora dopo all’ospedale Fatebenefratelli. Ma come si arrivò a quei colpi di mitragliatrice?

Cosa successe la mattina del 9 ottobre 1982 alla Sinagoga di Roma e come morì Stefano Gaj Taché

Il 9 ottobre 1982 era sabato, il giorno sacro agli ebrei e la Sinagoga di Roma era gremita. Si celebravano infatti in quel sabato particolare lo Shabbat, lo Shemini Atzeret, una festa in cui sono i bambini a ricevere la benedizione,  e il Bar mizvath di alcuni adolescenti della comunità. All’interno del Tempio Maggiore, alle 11.55 di quella mattina tragica c’erano trecento persone e tanti, tantissimi tra bambini e ragazzini. Era una strage degli innocenti quella a cui puntavano i terroristi.

All’uscita da quel momento di celebrazione, con addosso tutta l’euforia di una giornata di festa che sarebbe proseguita anche fuori dal Tempio, cinque terroristi scatenarono l’inferno contro tante persone inermi, tra bombe a mano e raffiche di mitra sulla folla. Il fuoco sulla folla durò cinque lunghissimi minuti. Quando gli aggressori decisero che avevano sparso abbastanza sangue e fuggirono, lasciarono dietro di loro una scia di sangue fatta di 37 feriti e un morto, un bimbo di appena 2 anni, Stefano Gaj Taché . Tra i feriti più gravi di quell’inferno c’era anche il fratello di Stefano, Gadiel,  4 anni, colpito alla testa e all’addome, ma per fortuna salvo.

L’attentato che uccise il piccolo Stefano Gaj Tachè e sconvolse la comunità ebraica romana e tutta la città, era legato alle conseguenze della guerra del Libano, un conflitto internazionale che si riversò nel più tragico dei modi anche sulla comunità riunita in un giorno di grande festa nel Tempio sul lungotevere.

Le polemiche e le indagini

La Comunità Ebraica, come ricorda oggi Fadlum, si sentì in quel momento abbandonata. L’attentato maturò in un’atmosfera di ostilità verso i “sionisti”, dopo la terribile strage di Sabra e Shatila che aveva profondamente colpito l’opinione pubblica. L’allora rabbino Toaff arrivò addirittura ad invitare il Presidente Pertini, che pochi giorni prima della tragedia aveva ricevuto il leader dell’OLP  Arafat al Quirinale, a non presentarsi al funerale del piccolo Stefano, vittima di giochi e di questioni tanto più grandi ed estranee alla vita di un bambino di due anni.

L’indagine sull’attentato alla Sinagoga di Roma in cui morì Stefano Gaj Tachè è ancora aperta.