Fu trovato morto in un alloggio del quartiere San Donato di Torino il 5 aprile 2021: secondo i giudici della Corte d’Assise Ettore Treglia non sarebbe stato ucciso. Per questo, lo scorso luglio, il processo a carico della moglie, Gaia Prencipe, si era concluso con un’assoluzione: in pratica, il “fatto non sussiste”. È ciò che emerge dalle motivazioni della sentenza, depositate nelle scorse ore.

Morte di Ettore Treglia a Torino: non fu omicidio. Assolta la moglie Gaia Prencipe

Ad accusare la moglie, finita a processo con l’accusa di omicidio volontario, era stato lo stesso Treglia, che in un sms inviato qualche ora prima della sua morte all’amante, residente in Puglia, aveva scritto:

Se domani mi trovano morto, chiama la polizia. È stata mia moglie. Sto prendendo botte.

Era l’aprile del 2021. L’uomo, 50 anni, fu trovato senza vita nell’alloggio del quartiere San Donato di Torino in cui risiedeva. Interrogata, la moglie – finita tra i principali indiziati del delitto dopo una denuncia presentata dall’amante dell’uomo – aveva raccontato che la sera prima avevano avuto una lite. Lui, ubriaco, aveva tentato un approccio sessuale. Lei lo aveva respinto con forza ed era andata a dormire, lasciandolo a guardare la tv.

Una versione dei fatti che non aveva convinto gli inquirenti: al termine delle indagini, l’accusa aveva infatti chiesto per la donna una condanna all’ergastolo, ipotizzando che avesse strangolato il marito per “gelosia”, dopo aver scoperto che lui la tradiva con un’altra. Alla fine, lo scorso luglio, i giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Torino l’hanno assolta, perché “il fatto non sussiste“.

Ettore Treglia, in pratica, non morì ucciso. E la ricostruzione che avrebbe fornito all’amante sarebbe tutt’altro che attendibile. Del resto, dicono le motivazioni della sentenza, il 50enne era

un soggetto particolarmente propenso a inventare, mentire, ingigantire i dati di realtà,

romanzandoli e rendendoli esagerati per apparire diverso da quello che era.

Le cause del decesso

All’inizio del dibattimento la Corte aveva dichiarato “inutilizzabili” gli accertamenti tecnici prodotti nel corso delle indagini, compresa l’autopsia. Questo perché la donna finita a processo, non essendone stata informata, non aveva avuto la possibilità di prenderne parte insieme a un proprio consulente. Il risultato della nuova perizia disposta d’ufficio aveva portato a risultati diversi rispetto ai precedenti: se prima si era parlato di strangolamento, i nuovi esami avevano insistito sulle “circostanze peculiari” del decesso.

Significa che le cause non sono chiare. Stando a quanto emerso dalle motivazioni della sentenza d’assoluzione, Treglia potrebbe essere morto a causa di un mix letale di alcol, farmaci e cannabis, ma anche per “asfissia”, mentre dormiva (una conseguenza dell’abuso delle sostanze riscontrate nel suo sangue). Come non si può escludere che sia morto per un problema cardiaco pregresso o per “stimolazione vegetale”, un rallentamento del cuore. Secondo i giudici, si tratta di

tutte ipotesi dotate di plausibilità pari o superiore a quella di un omicidio.

Nel 2013 il 50enne era stato operato per un grave tumore alla laringe. Nonostante ciò, fumava e beveva. E da un po’ soffriva anche di un enfisema polmonare, una patologia che provoca difficoltà nel respirare. A raccontarlo in aula era stata la figlia. La mamma fin dall’inizio aveva respinto le accuse, raccontando agli inquirenti di essere stata più volte aggredita dal marito: il 3 aprile, pochi giorni prima del decesso dell’uomo, dopo una lite che aveva richiesto l’intervento dei carabinieri, era stata addirittura ricoverata.

Si è concluso diversamente, a Milano, il processo a carico di Lucia Finetti, la 51enne finita in manette per l’omicidio del marito Roberto Iannello. Al termine del primo grado di giudizio, lo scorso maggio la donna è stata condannata a 23 anni di carcere: secondo i giudici uccise a coltellate l’uomo – con cui era in fase di separazione – per “gelosia” e per “motivi economici”. Era totalmente capace di intendere e di volere.