Le blockchain sono basate su diversi protocolli di consenso, linguaggi di programmazione e regole di sistema. Senza interventi esterni, di conseguenza, non sono in grado di dare luogo ad interazioni tra di loro.
L’interoperabilità è considerata una pietra miliare per Internet. Grazie ad essa, infatti, le macchine di ogni parte del mondo sono in grado di utilizzare lo stesso insieme di protocolli open al fine di comunicare tra loro. All’interno dell’universo blockchain, caratterizzato dall’esistenza di un gran numero di protocolli distinti, a realizzarla i cosiddetti blockchain bridge sono essenziali per consentire un proficuo e facile scambio tra una rete e l’altra.
Blockchain bridge: cos’è?
Basta tradurre in italiano blockchain bridge per capire di cosa in effetti si tratti: ponte blockchain. Una infrastruttura digitale cui è affidato il compito di collegare due reti diverse e ovviare ad un problema che ha frenato a lungo il settore, limitandone le potenzialità.
Ogni blockchain, infatti, ha proprie regole, token, protocolli e smart contract. Senza un ponte in grado di stabilire un collegamento, resterebbero isolate. Grazie al suo utilizzo, invece, sono in grado di scambiare token e dati, senza eccessivi problemi.
Se questo è il primo vantaggio offerto dai blockchain bridge, ce ne sono però altri non meno rimarchevoli. In particolare l’offerta di accesso agli utenti su nuovi protocolli e la possibilità di collaborazione tra gli sviluppatori delle diverse comunità. In tal modo viene ad essere stabilita l’interoperabilità.
Come funziona un bridge?
Quando si deve utilizzare una criptovaluta su un’altra blockchain, occorre affrontare un passaggio preventivo, quello derivante dalla vendita dei propri token in quella valuta virtuale per poi trasformarne il controvalore nella nuova. Un processo che non solo comporta il versamento di commissioni, ma espone gli interessati alla volatilità dei prezzi.
Per evitare di dover effettuare questo passaggio, con le controindicazioni ricordate, si può appunto utilizzare un blockchain bridge. Nel caso in cui si decida il trasferimento di un Bitcoin in un wallet Ethereum, si stipula un contratto il quale provvede a bloccare il BTC in oggetto e creare un equivalente di valore in Wrapped BTC (WBTC), un token ERC20 compatibile con la rete Ethereum. La quantità di BTC che si intende trasferire viene bloccata in uno smart contract e si procede all’emissione o al conio di un numero di token equivalenti sulla rete blockchain di destinazione.
Come si può notare, nel processo che viene attuato, un ruolo chiave è svolto dai wrapped token. Si tratta in pratica della versione tokenizzata di un’altra criptovaluta che viene ancorata al valore dell’asset che rappresenta. Nel momento in cui si dovesse decidere di tornare indietro, sarebbe possibile farlo in qualsiasi momento lo si voglia fare.
Quali tipi di blockchain bridge esistono?
Anche i blockchain bridge possono essere suddivisi in categorie. La prima differenziazione è tra custodial e non custodial bridge. I primi sono centralizzati, i secondi decentralizzati. Se i primi si affidano ad un’autorità centrale, i secondi funzionano tramite smart contract cui è affidato il compito di gestire il locking, ovvero il processo di blocco e creazione del wrapped token. Nel caso dei custodial bridge occorre sincerarsi dell’affidabilità dell’autorità centrale, nel secondo di quella del codice sottostante.
Una seconda differenziazione è possibile in base al funzionamento. In questo caso si parla di wrapped e sidechain bridge. I primi stabiliscono l’interoperabilità tramite i wrapped token, i secondi collegando la blockchain madre a quella figlia. Il secondo caso è tipico nel collegamento tra reti dotate di meccanismi di consenso diversi.
Infine, si può distinguere tra bridge one-way (unidirezionali) e two-way (bidirezionali). I primi possono effettuare operazioni solo verso una rete di destinazione, senza però consentire di tornare indietro, a differenza di quanto accade nei secondi.
Vantaggi e rischi
I blockchain bridge sono in grado di assicurare vantaggi, ma anche di proporre rischi. Tra i primi oltre all’interoperabilità i miglioramenti in termini di scalabilità. Sono cioè in grado di gestire un gran numero di operazioni, dando un ottimo contributo in termini di efficienza, come fa ad esempio il bridge tra Ethereum e Polygon.
Per quanto riguarda i possibili pericoli, occorre invece segnalare la vulnerabilità di alcuni smart contract. Un vulnus che è stato ripetutamente segnalato da alcuni attacchi hacker andati a buon fine.
Altro rischio è quello collegato ai custodial bridge: chi assicura in effetti che l’autorità centrale non decida di trafugare quanto contenuto nei wallet che sono gestiti?
Infine, la possibilità che vengano a formarsi veri e propri colli di bottiglia. In questo caso quello derivante dalla scarsa capacità di throughput di una blockchain potrebbe andare a riflettersi su quella complessiva, dando luogo a problemi su larga scala.