Il 9 ottobre del 1963 avevo sei anni, frequentavo la prima elementare e in casa non avevo il televisore ma la notizia del disastro del Vajont arrivò subito attraverso la radio sempre accesa e il giornale del bar. Sul quotidiano La Stampa un giovane cronista che ne farà di strada, Giampaolo Pansa, raccontò la tragedia: “Scrivo da un paese che non esiste più: spazzato in pochi istanti da una gigantesca valanga d’acqua, massi e terra piombata dalla diga del Vajont. Circa tremila persone vengono date per morte o per disperse senza speranza…

Un tratto dell’alta valle del Piave lungo circa cinque chilometri ha cambiato volto e oggi ricorda allucinanti paesaggi lunari. Due strade statali e una ferrovia sono state distrutte; pascoli, campi e boschi sono stati ricoperti di pietre e fango. E’ una tragedia di proporzioni immani. Tutto è accaduto in meno di dieci minuti…”.

Quando Longarone venne spazzato via insieme a migliaia di abitanti della vallata

Il paese era Longarone, un piccolo comune della vallata del Piave, a nord di Belluno. In parte si salvò Erto, un borgo reso famoso dal suo residente più illustre, lo scrittore Mauro Corona, che ne parla ogni martedì da Bianca Berlinguer.

Sessanta anni dopo su pensalibero.it ricorda quel giorno Andrea Follini: “Duecentosessanta milioni di metri cubi di montagna precipitano nel lago artificiale ad una velocità di 100 chilometri l’ora. L’onda che ne scaturisce spazza via tutto e tutti. Ciò che avviene nella valle del Vajont non succede all’improvviso e nemmeno per caso. C’era già stato un cedimento del Toc sul lago artificiale, mesi prima; erano già note le fenditure nei terreni del monte; i boati si susseguivano nella fase di riempimento e soprattutto nell’irresponsabile rapido vuotamento dell’invaso. Vani sono stati nel tempo gli appelli a fermare tutto. Anche quelli ripetuti del sindaco di Longarone, il socialista Gugliemo Celso, che morirà nel disastro assieme alla sua famiglia”. Ricordare per non ripetere.

Stefano Bisi