Il flusso migratorio che parte dalla Tunisia e arriva in Italia e in Europa non accenna a fermarsi. A Tag24 abbiamo cercato di capire perché tutto inizia proprio dalla Tunisia, analizzando qual è la situazione effettiva nel Paese, la posizione del Presidente Kais Saied sulla gestione dei migranti e le conseguenze che si riversano inevitabilmente poi sull’Italia – e non solo- insieme alla Professoressa Michela Mercuri, docente del master in geopolitica della sicurezza presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano ed esperta di storia dei Paesi del Mediterraneo.

Perché i migranti arrivano dalla Tunisia? E’ un paese pericoloso?

La Professoressa Michela Mercuri ha parlato del problema dei flussi migratori della Tunisia e dei rischi collegati alla situazione politica in cui versa il Paese.

D: Quali sono le condizioni reali della Tunisia in questo momento? Perché la fascia migratoria che continua ad arrivare in Italia e in Europa proviene proprio da lì?

R: Ci sono due motivazioni essenziali in proposito. Su circa 135 mila migranti che sono arrivati dall’inizio dell’anno ad oggi sulle nostre coste, più della metà proviene dalla Tunisia. Altri sono sub-Saharani, ma provengono anche dalla Guinea, dalla Costa d’Avorio. Perché ci sono i tunisini? Perché la Tunisia è un Paese che non è mai stato così povero come oggi. Quella Tunisia che doveva essere l’eccezione delle primavere arabe, che aveva intrapreso una strada di riforme politica, un’alternanza elettorale tra partiti islamisti e laici, si è rivelata poi un grosso problema.

D: La Tunisia quindi è considerabile un Paese pericoloso?

R: In questo momento in Tunisia c’è un’inflazione che supera il 10%, il 48% dei giovani è disoccupato, il debito pubblico arriva quasi all’80% del pil quindi molti tunisini scappano dal Paese. Chiaramente quando un Paese è povero e destabilizzato diventa un terreno fertile per le organizzazioni Jihadiste ma anche per le organizzazioni criminali che lucrano sul traffico dei migranti. La Tunisia quindi anche per questi motivi è diventata un nuovo hub di partenza di migranti diretti verso l’Italia ma anche un nuovo hub per gli scafisti e per le organizzazioni criminali. Per tutto ciò credo che debba essere supportata.

“Il Presidente Saied è un dittatore ma un accordo va trovato”, il piano Mattei potrebbe funzionare

D: Secondo lei il Presidente Saied è una figura politica paragonabile ad un dittatore? Cosa sta facendo in merito alla questione migranti?

R: Saied è un presidente autoritario, che sfiora sicuramente la figura del dittatore. Su questo nessuno ha dubbio. Saied ha attuato negli ultimi anni una forte stretta sulle libertà di stampa, la libertà di espressione, inglobando in sé tanti poteri, come ad esempio la magistratura. In questo momento va detto che lui è il nostro unico interlocutore: dobbiamo cercare degli accordi non per accontentare i desideri del presidente ma per stabilizzare la situazione perché se scoppia la Tunisia, scoppia il Nord Africa. E scoppiano anche i flussi di migranti diretti verso l’Italia ma anche verso l’Europa. Che ci piaccia o meno la Tunisia va sostenuta, nonostante la presidenza di Saied.

D: Dunque Saied strumentalizza i migranti come una forma di ricatto?

R: Saied ha dimostrato di saper controllare le partenze. Ha detto che nell’ultima settimana ha fermato 442 tentativi di sbarco e ha bloccato 4 000 persone. Questa è una dimostrazione per evidenziare il fatto che se lui vuole, è in grado di arrestare gli sbarchi ma sa anche aprire i rubinetti, perché in un giorno magari arrivano migliaia di migranti in Italia. Saied ha questo grande potere e riesce a controllare le partenze. Dovremmo capire ancor di più che bisogna addivenire in qualche modo ad accordi. E’ chiaro che Saied vuole i soldi: l’Unione Europea aveva promesso una tranche iniziale di circa 300 milioni che poi sono diventati 120. Ad oggi Saied probabilmente penserà che l’Europa stia giocando un po’ al gatto col topo: ieri infatti ha detto in un’intervista di non accettare la carità né l’elemosina. Vuole alzare posta, sta a noi capire se sarà in grado di gestire una somma di denaro più importante e sta sempre a noi dire che deve permetterci di controllare anche il trattamento che riserva ai migranti presenti nel Paese e contro cui ha messo in atto una vera e propria caccia alle streghe.

D: Se la somma di denaro da affidare a Saied dovesse aumentare, ci sarebbero avvisaglie di pericolo dietro l’angolo? Potrebbe non mantenere le promesse?

R: Io credo che se verrà stipulato un patto – pensiamo anche al vertice di Granada dei grandi leader europei in questi giorni che devono contribuire anche economicamente al supporto alla Tunisia – e che se questi soldi venissero dati come si era detto in diverse partizioni e monitorati, è possibile che si riesca a controllare con maggiore efficienza la situazione. Parliamo ovviamente di cifre più alte, quelle pattuite inizialmente, e non di 100 milioni. Soldi che poi alla fine non sono mai stati erogati, anche per opposizioni di alcuni partiti interni all’Unione Europea.

D: Cosa ne pensa del piano Mattei sull’immigrazione?

R: E’ un piano molto ambizioso ma inevitabile. Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre ‘Altre alternative?!’ Perché finora nessun governo ha quanto meno pensato ad un piano ben strutturato per l’Africa, uno di tipo non predatorio che cerchi di collaborare alla pari con i Paesi. Potrebbe essere un buon piano, ovviamente difficilissimo da applicare. Quando si tira in ballo il piano Mattei si parla di accordi con Paesi terzi, e tra questi vanno considerati oltre alla Tunisia, anche la Libia che è allo sbando, il Niger dove c’è stato un colpo di stato e tante altre nazioni molto complesse. Il piano Mattei richiede un’analisi approfondita dei Paesi e delle loro criticità così come è stato fatto a Roma lo scorso 23 luglio dalla Meloni che ha invitato in Italia i leader dei principali Paesi africani e poi chiaramente erogare soldi per tanti temi come la gestione delle risorse idriche contro la siccità, lo sfruttamento energetico. Potrebbe funzionare ma solo con il supporto dell’Europa. E’ la prima volta che l’Italia si pone come pivot, come interlocutore dell’Europa, fra le due sponde e questo è un fattore molto importante di per sé.