Il primo documento del CNEL sul salario minimo è stato approvato il 4 ottobre 2023, con voto contrario della CGIL e con l’astensione della UIL. Il documento consta di 9 punti e ricorda e sottolinea come la contrattazione collettiva venga applicata al 95% dei lavoratori dipendenti. Si tratta quasi della totalità dei contratti e la priorità dovrebbe essere lo sviluppo maggiore e l’adeguamento dei contratti collettivi e non l’introduzione del salario minimo.

Il secondo documento, secondo le stime, dovrebbe essere consegnato il 6 ottobre. Invece, il documento finale dovrebbe essere discusso in assemblea il 12 ottobre.

Nel testo, vediamo i punti contenuti nel primo documento.

I CCNL coprono il 95% dei lavoratori: verso un piano di azione nazionale

L’assemblea del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) ha approvato la prima parte del documento di analisi sul salario minimo, dopo l’incarico affidatogli dal Governo, lo scorso mese di agosto.

Il primo documento è stato rilasciato e approvato il 4 ottobre 2023, mentre il secondo dovrebbe essere approvato qualche giorno dopo, presumibilmente, entro il 6 ottobre. Il documento finale sarà discusso il 12 ottobre.

Nella prima parte del documento è contenuta un’analisi complessiva, relativa all’inquadramento e all’analisi del tema. Il secondo documento, invece, sarà incentrato sul tema delle proposte.

Cosa emerge dalla prima parte del documento? La contrattazione collettiva, in Italia, copre il 95% dei contratti, ovvero quasi la totalità, e, secondo il CNEL, la priorità dovrebbe essere l’adeguamento e lo sviluppo di un piano nazionale del sistema dei CCNL, invece che l’introduzione di un salario minimo.

Si tratta, sostanzialmente, di adottare strategie e capire come estendere la contrattazione alla generalità del lavoro, perché la risposta al lavoro povero non è il salario minimo.

Verso la chiusura al salario minimo

In sostanza, il CNEL si dimostra molto critico circa l’introduzione di un salario minimo e vira in favore del sistema della contrattazione collettiva di lavoro. Era prevedibile che il CNEL avrebbe bocciato il salario minimo.

Non nega l’esistenza del lavoro povero, ma non dipendente della retribuzione oraria. Si devono rintracciare le cause del lavoro povero negli accordi contrattuali. In molti casi, infatti, i contratti sono part-time, così come emerge dal rapporto dell’Inps.

Se vogliamo semplificare l’esito dell’istruttoria del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro, il salario minimo non è una priorità per l’Italia. Se valutiamo bene le obiezioni mosse dal CNEL e l’analisi della situazione del Paese, possiamo notare una certa somiglianza con quelle già mosse dalla maggioranza di Governo. Queste stesse obiezioni dovrebbero essere inserite nel dossier finale atteso per il 12 ottobre, nell’assemblea del consiglio presieduto dall’ex ministro Renato Brunetta, prima di essere trasmesso all’esecutivo.

Quali sono i punti salienti del primo documento del CNEL

L’analisi del CNEL, sulla prima parte del documento, si sofferma, in particolar modo, sul salario minimo e sul tasso di copertura della contrattazione collettiva. Si tratta di una delle questioni chiave della direttiva UE.

Viene evidenziato che il tasso di copertura dei CCNL sia pari al 95%, una soglia nettamente maggiore al parametro fissato dalla Direttiva europea sul salario minimo. Il parametro proposto, infatti, è pari solo all’80%.

Il CNEL, nel documento, passa in rassegna criteri e modalità per arrivare al documento conclusivo con tutte le proposte. Per esempio, pensa sia importante, oltre che costruttivo, condividere dati, scenari e soluzioni e guardare al fenomeno in maniera più ampia, superando la questione del salario.

La povertà lavorativa, secondo il CNEL, va ben oltre la retribuzione. Si devono considerare anche i lavori dilanianti e la composizione del nucleo familiare. Inoltre, il documento prevede anche la possibile creazione di un forum permanente sul tema e viene affrontato il tema dei ritardi dei rinnovi.

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