“Verità per Giulio Regeni” è lo slogan che da anni accompagna gli appelli alla giustizia per la storia del dottorando italiano rapito e ucciso al Cairo nel 2016. Dal suo omicidio sono passati oltre sette anni e nessuno è stato ancora condannato. Di recente però qualche sviluppo c’è stato, con il via libera della Consulta al processo a carico dei quattro 007 egiziani accusati di averlo sequestrato, torturato e averlo fatto morire.

Omicidio Giulio Regeni: la storia lunga oltre 7 anni del dottorando italiano ucciso al Cairo

Nato a Trieste, in Friuli, il 15 gennaio del 1988, nel 2016 Giulio Regeni si trovava al Cairo, in Egitto, per lavorare come ricercatore. Il 25 gennaio era uscito di casa per recarsi in piazza Tahrir: scomparve nel nulla, improvvisamente, a una fermata della metropolitana. Il suo corpo fu ritrovato, seminudo e con segni evidenti di tortura, nove giorni più tardi. Era stato adagiato lungo la superstrada che collega la capitale egiziana a Giza.

Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e ho detto: perché si è riversato su di lui?,

avrebbe detto la madre Paola dopo averlo visto. Le indagini partirono subito serrate. In Egitto, però, andarono presto incontro a depistaggi: si parlò di un incidente stradale, poi di un omicidio consumatosi per motivi passionali, poi ancora di spaccio di droga. Il fascicolo d’inchiesta aperto dalla Procura di Roma a Piazzale Clodio andò invece dritto al punto, concentrandosi subito sul possibile coinvolgimento dei servizi segreti.

In Egitto Regeni avrebbe dovuto approfondire la situazione dei sindacati di base del Paese: c’era stato mandato dall’Università di Cambridge, presso cui, da qualche tempo, aveva ottenuto una borsa per un dottorato di ricerca. L’ipotesi è che sia stato considerato una spia e preso di mira dalle autorità. Ma sul suo caso non si è ancora riusciti a fare pienamente luce.

Gli ultimi sviluppi sul caso

Dopo anni di false verità e mancate collaborazioni Italia-Egitto, il presidente Al-Sisi aveva fatto sapere che avrebbe fatto di tutto per mettere un punto a questa storia. A quasi otto anni dai fatti, però, nessuno è ancora stato condannato. I quattro agenti dei servizi segreti iscritti nel registro degli indagati e rinviati a giudizio nel 2021 (il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi, e il maggiore Magdi Sharif) risultano infatti irreperibili. E sembra che nessuno sia disposto a rivelare dove si trovino, nonostante i continui appelli alla verità.

Di recente la Corte Costituzionale ha deciso che il processo a loro carico – rimasto per tempo bloccato alla fase dell’udienza preliminare – proseguirà lo stesso. I reati contestatigli sono i seguenti: sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti italiani, i quattro sarebbero stati aiutati dal capo del sindacato degli ambulanti Mohamed Abdallah, con cui il giovane ricercatore era entrato in contatto.

Per giorni quest’ultimo lo avrebbe seguito e controllato, comunicando i suoi spostamenti a chi di dovere. Poi il rapimento, le torture in una villetta del Cairo e l’omicidio, fino al tragico ritrovamento. Le prove raccolte sarebbero “inequivocabili”. Mancano le condanne. Oggi, 5 ottobre, nel corso di una conferenza stampa tenutasi nella sede nazionale dell’Ordine dei giornalisti, i genitori del giovane hanno dichiarato:

Più volte ci hanno detto fermatevi, ma la decisione della Consulta dà dignità a Giulio. Abbiamo visto finalmente la bilancia che si è quasi equilibrata […] speriamo di arrivare a una sentenza.

Solo a quel punto si potrà considerare chiusa questa storia. Una storia che a molti ricorderà quella di Patrick Zaki, lo studente di Bologna arrestato dalle autorità egiziane nel 2020 per “minaccia alla sicurezza nazionale” e detenuto per oltre un anno. Liberato in attesa del processo nel 2021, lo scorso luglio è stato condannato a 3 anni. Al-Sisi gli ha concesso la grazia presidenziale. Qui le sue parole sul caso Regeni dopo il ritorno in Italia: Patrick Zaki dalla conferenza stampa all’Università di Bologna invoca “Giustizia per Giulio Regeni”.