Una vita tra colpi di tacco e colpi di like. I calciatori e i social al giorno d’oggi sono un tutt’uno tra foto condivise, post amichevoli o stilettate improvvise. Un’arma in più specie quando si parla di rinnovi, o per esternare il proprio stato d’animo, che non sempre si traduce in un qualcosa di positivo (come dimostrato dal caso Osimhen dovuto all’ormai famoso video su Tik Tok che ha mandato su tutte le furie il giocatore che ha levato tutte le sue foto con la maglia del Napoli da Instagram).

Una realtà totalmente differente dal calcio del passato, dove la faceva da padrone il contatto diretto con le persone sia nei rapporti con la società, che in quelli con i tifosi. Che con Instagram pensano di vivere una vicinanza con il loro idolo, ma di fatto rimangono distanti come non mai. Un discorso virtuale, dove i pensieri e gli umori dei calciatori vengono scoperti dal telefono. Non c’è improvvisazione, ma una precisa tattica per cercare di avere il coltello dalla parte del manico.

Specie quando si parla di rinnovi contrattuali. Ormai la partita si gioca su più fronti, e la sensazione è che la categoria abbia assunto più potere. A tal proposito, il noto psichiatra Paolo Crepet ha analizzato questa situazione in esclusiva a Tag24.

Dottor Crepet, pensa che i social media abbiano dato più potere ai calciatori, specie quando di mezzo ci sono possibili trattative in corso?

“Non hanno dato potere ai calciatori, l’hanno dato a chiunque si presenta sui social. Il problema è chi gestisce i social, che uso ne fanno. I social non hanno una lunga vita, post o dichiarazioni sono cose che vanno e vengono, non sono cose stabili”.

Ma nel momento in cui, ad esempio, c’è un messaggio di critica verso la società, in quell’istante c’è un inversione di potere dove è il calciatore a condurre i giochi?

“Si, c’è. E’ ovvio che ci sia. Tocca capire se succede per una ricerca di visibilità o altro. Alla fine queste cose non ti portano tanti gol, o a vincere il campionato”.

Quando si parla di rinnovi i giocatori puntano sempre molto in alto, esponendosi proprio con i loro social

“Un tempo c’erano solo i manager che si occupavano di questo, adesso il calciatore spinge un po’ di più con un’altra arma, quella dei follower. Dicendo di avere molti seguaci, questa è una forma per fare pressione alla società, come se il calciatore in questione potesse contare su tanti “alleati” per raggiungere il suo obiettivo personale”.

Secondo lei questa potrebbe essere un’ arma pericolosa che può portare i calciatori ad avere molto più potere in futuro?

“Assolutamente no. Ricordiamoci che nonostante questi messaggi il tipo di contrattazione non è reale, rimaniamo sempre nel campo del virtuale. Uno può avere 3 milioni di followers, ma se poi non gioca più? Che potere può avere?”

Secondo lei i profili social dei calciatori devono essere gestiti da terzi, così da evitare possibili problemi in relazione con le rispettive società calcistiche?

“Penso che la maggior parte già lo faccia, non credo abbiano tempo per seguire i loro profili. I social hanno una loro filosofia, devono far clamore. Di pericoli dal punto di vista più professionale non ce ne sono, i contratti si fanno sempre con la penna, non sui social media. Non ci sarà nessun cambiamento da questo punto di vista, non penso che un presidente possa avere paura di un post di un calciatore solo perché ha un milione di followers. Per fare il calciatore devi essere calciatore”.

Dal punto di vista del rapporto con i tifosi, si può definire paradossale che i social, che uniscono persone in tutto il mondo, portino ad un allontanamento tra calciatore e tifoso stesso?

“Per certi versi sì, fisico certamente. Hai molti follower che non sai dove vivano o che faccia abbiano. Ma anche lì bisogna capire quanto possa durare questa cosa. Non penso possa durare molto. Alla fine parliamo sempre e solo di follower”.

Non avvicina i calciatori ai tifosi come si potrebbe pensare

“Certo che no. Ci sono inoltre dei dati sulla fruizione del calcio che dimostra come le partite siano seguite sempre meno dai giovani. Quelli che guardano le partite per tutti i 90 minuti stanno diminuendo, i giovani guardano la partita tramite gli highlights. Vedono il gol, il rigore e basta. Per loro stare fermi a vedere una partita di un ora e mezza è una roba infinita, una perdita di tempo”.