Tra le diverse regole, il preavviso di licenziamento è un adempimento necessario che deve essere rispettato dal datore di lavoro, per tutelare il lavoratore dipendente. Ci sono alcune cause individuate dalla legge che possono portate il datore di lavora a licenziare un dipendente.
In base alla gravità del comportamento assunto dal lavoratore ci sono il licenziamento per giusta causa e il licenziamento per giustificato motivo. Solo in uno delle due tipologie, il datore di lavoro è obbligato a comunicare al lavoratore dipendente la volontà di procedere al licenziamento.
Spieghiamo quando e quali sono le regole e gli adempimenti.
In quali casi è possibile il licenziamento
Il datore di lavoro, secondo la normativa di legge in vigore, può procedere al licenziamento di un lavoratore dipendente. I due tipi di licenziamento si distinguono in base alla gravità del comportamento assunto dal lavoratore:
- Per giusta causa;
- Per giustificato motivo soggettivo.
Nel licenziamento per giusta causa, si è verificato un fatto grave a tal punto da impedire il proseguimento del rapporto di lavoro. In questo caso, il datore di lavoro non è obbligato a rispettare il termine di preavviso.
Al contrario, nel licenziamento per giustificato motivo, il fatto avvenuto è meno grave, ma tale da non consentire comunque il rapporto di lavoro. In questo secondo caso, il datore di lavoro è obbligato a rispettare i termini di preavviso.
Oltre a queste due tipologie, c’è anche una terza causa che può portare al licenziamento, ma è legata alla struttura aziendale. Il licenziamento può scattare per giustificato motivo oggettivo non a causa del comportamento del lavoratore, ma quando, per esempio, l’azienda ha necessità di ridurre il personale per far fronte ad una crisi.
Quando è necessario il preavviso
Abbiamo spiegato che, in base al tipo di licenziamento, il datore di lavoro deve rispettare il preavviso. Non c’è, però, un termine fisso, ma la durata è variabile in base a diversi fattori:
- I contratti collettivi;
- L’anzianità;
- L’inquadramento e la categoria.
La contrattazione collettiva di riferimento gioca un ruolo fondamentale. Infatti, se in linea di massima il preavviso è lo stesso previsto per le dimissioni, in base al CCNL di appartenenza questa regola può cambiare.
Durante il periodo di preavviso, però, il lavoratore è comunque costretto a lavorare, salvo che abbiano previsto un diverso accordo. Infatti, si chiama preavviso lavorato. Ci sono alcune regole generali riferite alla decorrenza, la quale viene interrotta al sopraggiungere di ferie, malattia o infortunio.
Quando non è necessario il preavviso? Abbiamo già detto che non c’è nessun obbligo nel caso di licenziamento per giusta causa, in quanto il lavoratore dipendente è responsabile di aver commesso una grave inadempienza contrattuale. Ma non è necessario il preavviso neppure durante il periodo di prova. In questo secondo caso, affinché ciò valga deve essere espressamente indicato nel contratto.
Non è necessario neppure durante l’intervento della cassa integrazione o in caso di accordo consensuale tra datore di lavoro e dipendente.
Infine, il preavviso di licenziamento non è necessario neppure quando si arriva alla fine del contratto a termine e il datore di lavoro non ha intenzione di effettuare proroghe o rinnovi.
Quando spetta l’indennità di mancato preavviso
Il datore di lavoro è tenuto al rispetto di alcuni obblighi quando intende licenziare un dipendente, come il preavviso. Se i termini non vengono rispettati, il datore di lavoro deve pagare l’indennità di preavviso.
Come viene calcolata? Intanto, sottolineiamo che si tratta di un’indennità sostitutiva e viene calcolata sulla base della retribuzione che spetta al lavoratore. Il periodo di preavviso, come abbiamo già detto, deve essere lavorato e, anche quando il datore di lavoro non lo rispetta, deve comunque retribuirlo al dipendente, insieme alle competenze di fine rapporto.