Catello Romano, il sicario della camorra in carcere dopo l’omicidio del consigliere comunale Luigi Tommasino, ha discusso la sua tesi di laurea in cella.
Il detenuto, oggi 33enne, è rinchiuso “da 14 anni ininterrotti” e deve scontarne ancora una decina, dopo aver commesso “crimini orrendi” e “diversi omicidi”.
Oggi, Romano dice di essere cambiato: il suo lavoro di tesi, al culmine di un percorso valutato con 110 e lode, si intitola “Fascinazione criminale“. La frase d’esordio del manoscritto, in parte autobiografico, è emblematica.
Quella che segue è la mia storia criminale.
Detenuto nel penitenziario di Catanzaro, ha ricevuto una condanna definitiva per l’omicidio di “Gino” Tommasino. Il consigliere comunale del Partito Democratico venne assassinato nel febbraio 2009 a Castellammare di Stabia.
La colpa del politico era presumibilmente quella di aver stretto patti con la malavita organizzata stabiese. E così un commando con in testa Renato Cavaliere gli riversò contro una raffica di colpi. Nel sodalizio criminale c’era anche Romano, poi preso e condannato.
Catello Romano si laurea, il sicario della camorra: “Il crimine esercita una profonda fascinazione”
Nei lunghi anni di prigionia, il killer si è convertito alla religione islamica. Oggi la conclusione del suo percorso di studi, che gli è valso anche una menzione accademica. La tesi in Sociologia, discussa alla presenza di autorità e dell’Imam che lo sta accompagnando nel suo nuovo percorso religioso, mira a stabilire la “profonda fascinazione” che il crimine esercita nei confronti dei giovani.
A rendere ancor più sensazionale il lavoro di Catello Romano c’è la confessione di un duplice omicidio all’interno delle pagine del suo lavoro accademico. Nel dettaglio, si tratta dell’evento “più violento, traumatico, irrimediabile” della vita dell’ex camorrista.
I due omicidi in questione sono quelli di Carmine D’Antuono e Federico Donnarumma, morti il 28 ottobre del 2008. Il secondo, in particolare, tormenta ancora i ricordi di Catello, perché non doveva essere ucciso.
Non so perché, non l’ho capito e non me ne capacito ancora, ma sparai anche a lui.
Il sicario racconta poi alcuni aneddoti sulla sua storia personale. Da bambino voleva fare il poliziotto, poi le circostanze della vita lo hanno allontanato dalla retta via: il trauma della separazione dei genitori, la suggestione dei personaggi di film e serie televisive.
Nel mio caso, lo spazio interiore è stato occupato prima da ‘o prufessore ‘e vesuviano, cioè Raffaele Cutolo, poi da Renato Cavaliere, il mio ‘compare di malavita’.
Ora, una volta ravvedutosi, il criminale spiega di voler ripartire “da quel Catello che ero prima”. Oggi, scontata parte della pena, si augura “di riuscire a mettere ordine, una volta e per sempre, nella propria vita”.