Negli ultimi giorni una notizia ha provocato grandi fibrillazioni tra gli appassionati di criptovalute. Stiamo parlando della riattivazione di un wallet, contenente ben 616 Bitcoin, rimasto in letargo per ben nove anni. È bastata questa notizia per riaprire la caccia a Satoshi Nakamoto, l’inventore della regina crypto.

Una caccia che prosegue ininterrottamente da anni, nonostante il fatto che lo stesso Nakamoto sia stato dato ripetutamente per morto. In questa guida proveremo a fare un riepilogo sulle ipotesi circolate in relazione alla sua reale identità.

Satoshi Nakamoto, una caccia destinata a durare in eterno?

Di Satoshi Nakamoto non si hanno più notizie dal 2008. Se all’epoca, però, nessuno lo conosceva, oggi rappresenta un vero e proprio mito. L’attribuzione alla sua figura della creazione di Bitcoin, infatti, ha spinto molti a cercare di capire se corrisponda a realtà la sua morte e, in caso contrario, a cercare di capire chi si celi dietro questo nome.

La caccia al personaggio, peraltro, si è andata ad intrecciare ad una questione finanziaria di non poco conto. Negli indirizzi Bitcoin associati al suo nome, infatti, è custodito un vero e proprio tesoro, formato da oltre un milione di BTC. Quindi, stando alle quotazioni in vigore al momento, si tratterebbe di circa 28 miliari di euro. Un bottino troppo rilevante per non destare grandi appetiti.

Nel corso degli anni, sono state moltissime le ipotesi formulate a proposito della reale identità del fondatore di Bitcoin. Tra le tante, però, alcune sembrano avere quel minimo di verosimiglianza che spinge a prenderle in considerazione più di altre. Vediamo quali.

Le ipotesi più attendibili

Il nostro elenco non può che partire dal personaggio che ha letteralmente diviso l’opinione pubblica al riguardo, ovvero Craig Wright. Proprio lui, infatti, ormai da anni si batte per essere riconosciuto come il solo e unico Satoshi. Un tentativo contrastato da una variegata fazione di avversari, pronti a ribattezzarlo “Faketoshi”. Il suo tentativo è approdato anche nelle aule di tribunale, in una vertenza intentatagli da Ira Kleiman, proprio in relazione agli indirizzi BTC cui abbiamo accennato. La sentenza definitiva, che lo ha condannato a versare oltre 100 milioni di dollari al querelante non è però riuscita a chiarire del tutto la questione.

Tra gli altri personaggi indicati come il vero Satoshi, da parte nostra proviamo a indicare i seguenti:

  • Adam Back, uno dei fondatori di Blockstream. Il motivo che ci spinge ad includerlo nella lista è da ricercare nelle competenze tecniche di cui è accreditato. Nel 1997 proprio lui ha ideato il progetto HashCash, una moneta virtuale incentrata su un sistema simile alla Proof of Work. Back, però, smentisce decisamente l’ipotesi, ricordando di aver intrattenuto corrispondenza online sul tema delle criptovalute con Nakamoto;
  • Elon Musk, indicato come l’inventore di Bitcoin da un ex stagista di SpaceX, Sahil Gupta, in un post che è stato pubblicato su Medium. L’ipotesi è effettivamente affascinante e suffragata dal fatto che il fondatore di Tesla conosce il linguaggio C++ su cui si fonda BTC. A smentirla è il fatto che sembra complicato pensare al rifiuto di una tale proclamazione da parte dell’uomo più ricco del mondo, notoriamente incline alla visibilità mediatica;
  • Sergey Nazarov, noto nel settore per essere il fondatore di Chainlink. L’ipotesi sulla sua persona è stata lanciata da UX Sequence, supportandola con l’acquisto da parte sua del dominio smartcontract.com, quello legato a LINK, avvenuto appena sei giorni dopo la pubblicazione del white paper di Bitcoin. Tempi talmente stretti da far pensare che il lavoro sulla tecnologia alla base delle criptovalute possa essere stato condotto proprio da lui;
  • Dan Kaminsky, noto per le ricerche condotto in tema di cyber-security. A indicarlo espressamente è stato un articolo di Steemit, che è partito dal lavoro pregresso di Kaminsky, cui si deve la scoperta della vulnerabilità nota come DNS cache poisoning (o DNS spoofing), avvenuta nel 2008. In questo caso, a suffragare la tesi è l’analisi condotta sullo stile di scrittura di Satoshi Nakamoto, sorprendentemente simile alla sua. Tra gli indizi in tal senso l’utilizzo di doppi spazi dopo ogni frase, l’abitudine di scrivere ok sempre in maiuscolo e l’utilizzo di molte virgole e parentesi al fine di enfatizzare le proprie affermazioni.

Se queste sono le ipotesi al momento più accreditate, ce ne sono però altre che sono state lanciate nel corso degli anni. Tra coloro che sono stati citati in questa ossessiva ricerca ricordiamo ad esempio Hal Finney, Len Sassaman, Yasutaka Nakamoto e Paul Calder Le Roux. Una lista cui, nell’immediato futuro, probabilmente si andranno ad aggiungere altri nomi. A meno che non arrivi la conferma inequivocabile del decesso di Satoshi Nakamoto.