Un detenuto tunisino si è impiccato ieri pomeriggio nella sua cella del carcere di Biella, utilizzando i lacci delle sue scarpe. Detenuto dal 2006 per condanne per furti e rapine, avrebbe scontato le sue pene nel 2014. Inutili i tentativi di soccorso.
Chi è il detenuto che si è impiccato nel carcere di Biella
Continuano le gravi problematiche che attanagliano le carceri italiane, con episodi diffusi in tutt’Italia da nord al sud. Questa volta si tratta di un suicidio, l’ennesimo: un detenuto tunisino di 51 anni si è impiccato attorno alle 13 di ieri 3 ottobre nella sua cella del carcere di Biella. Ha utilizzato diversi lacci di scarpe, uniti per formare una corda legata alle inferriate della finestra della cella, nel reparto isolamento.
Come sottolinea il Segretario dell’OSAPP, Leo Beneduci, questo è il 41° suicidio nelle carceri italiane, nel quadro più generale della 118esima morte dall’inizio di quest’anno. Il segretario regionale per il Piemonte del SAPPE, Vicente Santilli, ha diramato una nota parlando di quest’ultimo suicidio e chiedendo alle istituzioni nazionali un intervento decisivo:
L’ennesimo suicidio di un detenuto in carcere dimostra come i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari, al di là del calo delle presenze. E si consideri che negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 25mila tentati suicidi ed impedito che quasi 190mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente ‘stressogeno’ per il personale di polizia e per gli altri detenuti.
Non appena avuta contezza della situazione di pericolo per il detenuto di Biella, sono arrivati altri agenti ed i soccorsi, ma non è stato possibile fare alcunché per salvare la vita del tunisino. Anche in quest’occasione, tuttavia, manca una profonda riflessione su cosa voglia dire oggi l’istituto carcerario (specie in Italia) e sul ripensare il ruolo della condanna penale, che si sta allontanando sempre più dalla sua finalità rieducativa.
Chiedere più agenti o di togliere quelle norme che ne circoscrivono l’agire (come il reato di tortura) non sembrano soluzioni che possano portare ad un reale cambiamento, a favore dei detenuti e di chi quotidianamente entra con loro in contatto.