Si fa sentire forte e chiara, a 10 anni dalla strage che a Lampedusa provocò la morte di 368 migranti, la voce di Giacomo Sferlazzo, un cittadino dell’isola che da anni si batte per la richiesta di interventi che possano regolare gli sbarchi, migliorando, di conseguenza, le condizioni di vita degli isolani. Su Tag24 ne abbiamo raccolto la testimonianza.
A 10 anni dalla strage di Lampedusa un incontro-dibattito per la verità: le parole di Giacomo Sferlazzo
Portavoce dell’associazione “Pelagie Mediterranee”, al centro delle polemiche che nelle scorse settimane hanno riguardato i costanti arrivi sull’isola di Lampedusa, Giacomo Sferlazzo terrà stasera, dal vivo e sulla pagina Facebook di “Libera Espressione”, un incontro-dibattito dal titolo “Il naufragio della verità”. L’obiettivo è fare luce su quanto accaduto il 3 ottobre del 2013.
“Dal 2014 come collettivo Askavusa abbiamo fatto uscire un dossier dove, a partire dalle testimonianze dei sopravvissuti e dei primi soccorritori, mettevamo in luce due questioni fondamentali: la prima è che tra le 2.30 e le 3.30 di notte una barca militare – che qualcuno individuò in una vedetta della Guardia costiera – si avvicinò al barchino dei migranti puntando un faro, facendo un giro e allontanandosi. Ciò provocò l’accensione di un indumento (da parte dei migranti, ndr) per attirare l’attenzione e poi – dopo l’incendio – il ribaltamento del barchino”, spiega.
“La seconda è che, verso le luci dell’alba, alcune persone che erano sul luogo per una battuta di pesca ritrovarono in mare moltissime persone, i migranti naufragati. Chiamarono immediatamente la Guardia Costiera, che però arrivò con ritardo di circa un’ora. Un ritardo gravissimo”, aggiunge, parlando di omissione di soccorso. Il reato di cui alla fine fu accusato solo un peschereccio di Mazara del Vallo. I veri responsabili, secondo Sferlazzo, non sarebbero mai stati rivelati.
Non solo: la strage, secondo lui, fu usata per firmare delle leggi che, fino a quel momento, per motivi diversi, in tanti avevano ostacolato. Il riferimento è, in particolare, all’Eurosur, “un programma per il controllo delle frontiere esterne europee”, approvato a pochi giorni dal naufragio con lo slogan “quello che è accaduto a Lampedusa non deve accadere mai più, basta morti nel Mediterraneo, ci vuole più controllo, lotta agli scafisti”. Slogan che ancora oggi viene ripetuto.
Di migranti, diritti e politica
“Da quando la migrazione si struttura così come la conosciamo, tutto è rimasto com’è. Anzi, se andiamo a vedere quali sono state le risposte alle emergenze che si sono create e ai naufragi sono sempre le stesse: il controllo militare del Mediterraneo e la gestione militare delle migrazioni. Non si fa ciò che si dovrebbe fare: agire sulle cause che spingono queste persone a lasciare il proprio Paese e creare canali di ingresso regolari. Cosa che implicherebbe ovviamente interventi sul mondo del lavoro”, prosegue Sferlazzo.
“Il discorso – spiega – è che c’è una parte di mondo che è stato sfruttato, rapinato per secoli e da cui oggi molte persone, per vari motivi, cercano di scappare, senza averne la possibilità in maniera regolare. C’è poi una volontà politica di stimolare la clandestinità perché da essa derivano varie cose, tra cui la militarizzazione dei territori, con enormi guadagni per le aziende che producono armi, lo sfruttamento dei lavoratori migranti, la creazione del “nemico” da parte di qualche forza politica o delle retoriche basate sul sentimentalismo da parte di altre. Tutte cose che non centrano mai i veri nodi della questione”.
Le rivendicazioni della popolazione di Lampedusa
“Per quanto riguarda Lampedusa poi – conclude -, come cittadini ci troviamo da trent’anni, anche per molte nostre responsabilità, ad essere violentati dal punto di vista psicologico, fisico, materiale, economico. Una grande parte della comunità è stanca e sta cercando di reagire, perché gli ultimi eventi sono stati e sono preoccupanti”. Il riferimento è ai decreti approvati negli ultimi mesi dal Governo, come quello seguito al naufragio di Cutro che, secondo Sferlazzo, invece che aiutare non fanno che esasperare una situazione già a tratti insostenibile.