Si discute molto di staking di criptovalute, in particolare tra coloro che ormai da tempo hanno deciso di investire in asset virtuali. Perché questo interesse? Il motivo è da ravvisare nel fatto che si tratta di una rendita passiva, ovvero un modo di guadagnare tenendo bloccati i propri token. Come è facile capire, si tratta di un meccanismo molto simile a quello dei conti deposito, i conti bancari i quali vanno a remunerare in maniera più corposa chi decide di tenere bloccato il proprio denaro, rispetto a quelli tradizionali.
Se da un lato lo staking di criptovalute si presenta vantaggioso, in quanto non collegato direttamente al trading di valuta virtuale, attività estremamente rischiosa, dall’altro evidenzia anche alcune controindicazioni. Ovvero una serie di svantaggi che dovrebbero essere conosciuti, prima di optare per il blocco delle proprie monete digitali. Proviamo quindi ad analizzare la questione in maniera più dettagliata per capirne meglio i contorni.
Staking di criptovalute: cos’è
Per staking di criptovalute si intende quel particolare meccanismo il quale prevede il deposito di un determinato quantitativo di denaro virtuale all’interno del proprio wallet, per un determinato periodo di tempo. Un lasso temporale che viene indicato in maniera molto precisa in sede contrattuale, tra le controparti.
I token bloccati per questa via, serviranno a loro volta per convalidare le transazioni all’interno di una rete che è fondata appunto sul meccanismo Proof-of-Stake (PoS). Per tale si intende il protocollo di consenso che viene considerato ormai la grande alternativa al Proof-of-Work su cui si fonda Bitcoin.
A differenza di quanto accade in questo secondo caso, in cui chi vuole fungere da validatore deve dotarsi di apparecchiature estremamente potenti e costose tese ad espletare i complicati calcoli che consentiranno l’estrazione e l’aggiunta dei blocchi alla catena, nel PoS il procedimento avviene in maniera del tutto differente. Per poter prendere parte al processo di validazione, infatti, è necessario bloccare i token posseduti, o almeno una parte di essi, e partecipare ad un’estrazione assolutamente casuale. Ne consegue che chi intende essere sorteggiato vede elevarsi le sue possibilità bloccando il maggior quantitativo possibile di token.
In caso si venga sorteggiati, il premio consiste in un quantitativo di criptovaluta, di nuovo conio oppure derivante dalle commissioni di transazione. In entrambi i casi si tratta di incentivi notevoli, tali da spingere molti a tenere bloccato sul proprio wallet il denaro digitale occorrente.
Come e quanto si guadagna con lo staking
Lo staking di criptovalute rende possibile guadagnare in tre modi:
- assumendo il ruolo di validatore. Si tratta di un compito adatto però soltanto a chi possiede elevate competenze tecniche. Inoltre, sulla blockchain di Ethereum servono non meno di 32 ETH per riuscirci, ovvero circa 50mila euro al cambio attuale;
- acquistando le criptovalute necessarie presso un exchange centralizzato, per poi bloccarle sul wallet;
- partecipando ai cosiddetti staking pool, veri e propri raggruppamenti di utenti che mettono in comune i propri token per assumere una forza impossibile da conseguire restando isolati. Naturalmente, ogni partecipante sarà premiato in percentuale allo sforzo profuso.
Quanto è possibile guadagnare con lo staking di criptovalute? Il profitto dipende da una serie di fattori, ovvero il quantitativo di criptovalute impegnato, il tempo per il quale si decide di bloccarle e il tasso di inflazione del token in oggetto. I rendimenti possono essere molto elevati, se rapportati a quelli di un conto bancario, raggiungendo anche il 30% in taluni casi. Per quanto riguarda blockchain più popolari, ad esempio Ethereum, al momento il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) si attesta intorno al 5%.
I rischi dello staking di criptovalute
Se i rendimenti elevati sono un vantaggio, lo staking crypto comporta anche alcuni rischi da tenere in considerazione. Tra di essi occorre soprattutto ricordare:
- i possibili bug del sistema in cui sono state bloccate le criptovalute, tali da renderne possibile il furto da parte di hacker;
- il cosiddetto rischio emittente, ovvero il possibile fallimento del pool cui ci si è appoggiati;
- la mancanza di trasparenza del soggetto cui ci si affida. Chi garantisce, in effetti, che uno staking pool remuneri realmente e totalmente chi apporta il proprio tesoretto virtuale?
- il rischio derivante dalla volatilità delle criptovalute. Ove le ricompense dello staking vengano corrisposte in valuta diversa, si potrebbe perdere anche in maniera notevole nella fase di conversione.
Questi sono i rischi più ricorrenti, ma non i soli. occorre comunque anche ricordare che lo staking è normato a livello legislativo e sottoposto alle cure del fisco, in base all’articolo, comma 1 44 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). È quindi sottoposto a prelievo fiscale del 26%.