Ha preso il via questa mattina, presso la Corte d’Assise del Tribunale di Roma, il processo a carico di Costantino Bonaiuti, l’ingegnere di 61 anni accusato dell’omicidio dell’ex compagna Martina Scialdone a Roma. I fatti risalgono alla sera del 13 gennaio scorso. L’uomo aveva dato appuntamento alla vittima per un ultimo “incontro chiarificatore”, sparandole a pochi metri di distanza dal locale in cui avevano cenato ed erano stati visti litigare. Per l’accusa agì con lucidità e consapevolezza.
Al via il processo a Costantino Bonaiuti per l’omicidio di Martina Scialdone a Roma
La madre e il fratello dell’avvocata di 34 anni si sono costituiti parte civile con l’associazione “Insieme a Marianna”, attiva in prima linea nella lotta contro la violenza sulle donne. Stamattina erano presenti in aula insieme al loro legale, l’avvocato Mario Scialla, e agli ex colleghi della donna uccisa.
Ci aspettiamo che venga resa giustizia a Martina, non ci sembra che ci possano essere dubbi sull’autore e sulle aggravanti contestate. Vedremo cosa emergerà nel corso del dibattimento, ma siamo moderatamente ottimisti,
ha riferito uno di loro ai microfoni dell’Adnkronos. Costantino Bonaiuti è accusato di omicidio volontario aggravato dai motivi futili e abbietti (la gelosia), dall’aver agito contro una persona a cui era legato da relazione affettiva e dalla premeditazione, per aver portato con sé l’arma che poi avrebbe usato per sparare all’ex compagna, una pistola Glock semiautomatica che deteneva per uso sportivo.
Secondo l’accusa, sul fatto che volesse uccidere Martina non ci sono dubbi: conosceva le intenzioni della donna, sapeva che non sarebbe mai tornata con lui e quella sera gli avrebbe dato appuntamento con l’intento di farle del male. Inoltre,
pur potendo, anche successivamente all’evento, rivolgere l’arma nei suoi stessi confronti, ha con estrema lucidità, una volta ucciso la donna, diretto la sua azione esclusivamente alla fuga,
aveva detto il gip che ne aveva convalidato il fermo, smentendo la versione dei fatti resa dall’imputato e dai suoi avvocati, secondo cui il 61enne avrebbe tirato fuori la pistola per fingere un suicidio ed impietosire l’ex.
La ricostruzione del delitto
Era stata la donna a mettere fine alla loro relazione: chi la conosceva dice che avrebbe voluto prendere in mano le redini della sua vita, dedicandosi anima e corpo alla professione di avvocata. Una decisione che lui non aveva saputo accettare. Lo scorso gennaio le aveva dato appuntamento in un locale in zona Tuscolana, a Roma, per parlarle: voleva farla desistere dal lasciarlo.
Sperava che pian piano avrebbero potuto ricucire il loro rapporto. Lei non voleva. Forse impietosita, aveva però accettato di incontrarlo. Nel corso della cena, poi, qualcosa era andato storto: avevano iniziato a litigare animatamente, attirando l’attenzione degli altri commensali. Lui a quel punto si era alzato per pagare il conto, dirigendosi verso l’uscita. Martina, spaventata, si era rifugiata in bagno.
Forse temeva un gesto estremo da parte dell’uomo, ne aveva paura: voleva aspettare che si allontanasse dal ristorante. Quando era uscita, dopo qualche minuto, lui l’aveva raggiunta alle spalle, sparandole un colpo e facendola accasciare a terra. Dopo essersi trascinata per qualche metro, Martina era morta sotto gli occhi inermi del fratello, giunto sul posto per assicurarsi che stesse bene.
È stato lui a smentire le parole dell’indagato, mettendo in evidenza il fatto che in quel momento fosse lucido e consapevole di ciò che stesse accadendo e che nemmeno per un attimo avrebbe tentennato. Mentre lui e le altre persone presenti cercavano di soccorrere la vittima – che all’arrivo del 118 era già morta -, l’ingegnere si era dato alla fuga. Era stato arrestato qualche ora dopo nell’abitazione che condivideva con l’ex moglie in via Monte Grimano, in zona Colle Salario-Fidene.
Nel corso delle indagini era emerso che ai colleghi dell’Enav, l’Ente nazionale per l’assistenza al volo, aveva detto di soffrire di un grave tumore: non era vero. Era in cura però per dei problemi psicologici e qualcuno avrebbe dovuto ritirargli il porto d’armi, con cui invece girava indisturbato.
Purtroppo dispiace dirlo ma la colpa e’ delle donne! ergastolo certo,, ma la donna e’ la causa principale dei femminicidi.